Pentadio (poeta)
Pentadio (in latino Pentadius; Africa, IV secolo – ...) è stato un poeta romano.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]L'autore, per alcuni, va identificato con il fratello di Lattanzio, che a lui dedicò l'epitome delle Divinae Institutiones nel 314[1].
A giudicare dallo stile, inoltre, l'attività di Pentadio risale probabilmente proprio al IV secolo, come visibile anche dalla tematica delle sue due elegie, di 22 e 36 versi, dedicate all'arrivo della primavera, De adventu veris e alla fortuna, De fortuna.
Opere
[modifica | modifica wikitesto]Nel dettaglio, Pentadio risulta autore di diversi componimenti.
In primo luogo, 4 epigrammi[2], come i seguenti:
«Pro pietate nefas matris purgavit Orestes,/incurrit magnum pro pietate nefas»
«Per amor filiale Oreste punì il delitto della madre,/commise un grande delitto, per amor filiale»
«Cui pater amnis erat, fontes puer ille colebat / laudabatque undas, cui pater amnis erat. / Se puer ipse videt, patrem dum quaerit in amne, / perspicuoque lacu se puer ipse videt. / Quod Dryas igne calet, puer hunc inridet amorem / nec putat esse decus, quod Dryas igne calet. / Stat stupet haeret amat rogat innuit aspicit ardet / blanditur queritur stat stupet haeret amat. / Quodque amat, ipse facit vultu prece lumine fletu; / oscula dat fonti, quodque ipse facit.»
Ancora, è autore di un Cupido amans di 16 esametri, del De adventu veris ("L'arrivo della primavera") e il De fortuna, entrambi poemetti in distici elegiaci (di 22 versi il primo, di 36 il secondo), coppie di versi in cui un esametro è seguito da un pentametro.
Il primo epigramma e le elegie sono composti con versi "echoici" o "epanalettici" dove il primo emistichio dell'esametro è identico al secondo del pentametro. Ad esempio:
«Sentio, fugit hiemps; Zephyrisque animantibas orbem / iam tepet Eurus aquis: sentio, fugit hiems. / parturit omnis ager, persentit terna calores, / germinibusque novis parturit omnis ager. / laeta virecta tument, folio sese induit arbor: / vallibus apricis laeta virecta tument. / iam Philomela gemit modulis, Ityn impia mater / oblatuin mensis iam Philomela gemit / monte tumultus aquae properat per levia saxa, / et late resonat monte tumultus aquae. / floribus innumenis pingit sola flatus Sol, / Tempraque exhalant floribus innumeris. / per cava saxa sonat pecudam mugitibus Echo, / voxque repulsa iugis per cava saxa sonat. / vitea musta tument Vicinas iuncta per almos, / fronde maritata vitea musta tument. / nota tigilla linit iam garrula luce chelidon; / Iam recolit nidos, nota tigilla linit. / sub platano viridi iacundat somnus in umbra, / sertaque texuntur sub platano viridi. / nunc quoque dulce mori, tunc fila recurrite fusis: / inter et amplexus nunc quoque dulce mori.»
«L’inverno fugge, Zefiro rianima ogni cosa, / lo Scirocco rende tiepida l’acqua, l’inverno fugge. / Il campo partorisce, la terra freme / al caldo e ovunque il campo partorisce. / Lieto esplode il verde, l’albero s’infoglia, / nelle valli al sole e lieto esplode il verde. / Già l’usignolo piange, il figlioletto / offerto a mensa l’usignolo piange. / Scroscia l’acqua dal monte per i lisci / macigni e rimbombando scroscia l’acqua. / D’ogni fiore si tinge il suolo al soffio / d’oriente, e odorano le valli d’ogni fiore. / Nelle spelonche risuonano i muggiti, / che le cime rinviano ancora alle spelonche. / I grappoli si gonfiano sui tralci, / tesi fra gli olmi i grappoli si gonfiano. / Le note travi infanga già la rondine / stridendo al nido tra le note travi. / Sotto i platani verdi è un bel dormire, / far corone di fiori sotto i platani. / Adesso è dolce anche morire, o fili del fuso correte, / ché in un amplesso è dolce anche morire.»
«Res eadem adsidue momento volvitur uno / atque redit dispar res eadem adsidue. / Vindice functa manu Progne pia dicta sorori, / impia sed nato vindice functa manu. / Carmine nisa suo Colchis fuit ulta maritum, / Sed scelerata fuit carmine nisa suo. / Coniugis Eurydice precibus remeabat ad auras, / Rursus abit vitio coniugis Eurydice. / anguine poma rubent Thisbae nece tincta repente: / Candida quae fuerant, sanguine poma rubent»
«La medesima cosa, continuamente, scorre per un unico moto / e ritorna diversa la medesima cosa, continuamente. / Alzò la mano vendicatrice Procne, proclamata pia dalla sorella, / ma empia contro il figlio alzò la mano vendicatrice. / Appoggiandosi al suo incantesimo Medea vendicò il marito, / ma fu scellerata appoggiandosi al suo incantesimo. / Il marito di Euridice con le sue preghiere la riportava alla luce, / di nuovo la perse per sua colpa il marito di Euridice. / Di sangue i pomi rosseggiano, subito tinti dalla morte di Tisbe: / loro che erano stati candidi, di sangue i pomi rosseggiano.»
I suoi componimenti sono quadretti di maniera sul tema della rinascita del mondo e di argomento mitologico, permeati di erudizione e di reminiscenze classiche greche e latine.
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Pentadio: le sue elegie e i suoi epigrammi, a cura di A. Guaglianone, Padova, Antenore, 1984.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Pentàdio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Massimo Lenchantin de Gubernatis, PENTADIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935.
- (LA) Opere di Pentadio, su Musisque Deoque.
- (EN) Opere di Pentadio, su Open Library, Internet Archive.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 68939057 · ISNI (EN) 0000 0000 5636 3098 · SBN CFIV051897 · CERL cnp00406610 · LCCN (EN) n88628327 · GND (DE) 119536471 · BNF (FR) cb11999511x (data) |
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