Solo una persona con disabilità su tre lavora
Tra i circa 3 milioni di italiani con gravi limitazioni solo il 32,5% ha un impiego, in leggera crescita dal 29,9% del 2009, secondo i dati Istat
I punti chiave
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Lo desiderano, ne hanno diritto eppure faticano a ottenerlo. Il lavoro in Italia per le persone con disabilità, in particolare per coloro con gravi limitazioni, continua a essere una chimera. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili tra i circa 3 milioni di italiani e italiane (pari al 5% della popolazione) con gravi limitazioni (cioè il massimo grado di difficoltà in almeno una tra le funzioni motorie, sensoriali o nelle attività essenziali della vita quotidiana) solo il 32,5% ha un impiego, a fronte di una percentuale del 55% di quelle con limitazioni non gravi.
Una percentuale cresciuta pochissimo negli ultimi anni visto che nel 2009 (primo anno disponibile nelle rilevazioni Istat) la quota di occupati era pari al 29,9%. Ad aumentare è stato invece il numero delle persone in cerca di lavoro, passate dal 13,8% del 2009 al 20% del 2021. Alla crescita della domanda non è però corrisposto un incremento delle opportunità lavorative e quindi dell’occupazione.
Donne doppiamente penalizzate
Come per i dati generali sul lavoro, sono le donne le più penalizzate: lavorano infatti solo il 26,7%, contro il 36,3% degli uomini. E anche quando il lavoro c’è non sempre le cose vanno nel verso giusto. Una recente indagine sul rapporto delle donne con disabilità e il mondo del lavoro, promossa dal gruppo donne della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), ha rivelato una situazione critica fatta di scarsa inclusione e disparità.
Il 21% delle 160 donne che hanno partecipato al sondaggio ha infatti dichiarato che sia sul fronte dell’inclusione che su quello dell’accessibilità il proprio luogo di lavoro non è adeguato. Tra le barriere segnalate ci sono il pregiudizio culturale e la scarsa sensibilità delle aziende sui temi dell’inclusione. Una situazione legata anche al fatto che solo nel 10,6% dei luoghi di lavoro è presente la figura del disability manager. Le donne denunciano anche disparità nella retribuzione (18,8%) e discriminazioni legate alla condizione di disabilità che colpiscono ben il 34,8%. Preoccupante anche il dato sulle molestie: l’11% delle rispondenti ha subito molestie fisiche, verbali o psicologiche sul luogo di lavoro.
Il peso dell’età
Oltre alle donne, chi fatica maggiormente a trovare un impiego sono le persone più mature, quelle tra i 45 e i 64 anni. Ben il 62,2% è inoccupato o in cerca di un impiego. Con il risultato che molti finiscono per accettare lavori poco gratificanti o rimangono fuori dal mercato del lavoro. Una situazione favorita anche dal fatto che secondo le statistiche la maggior parte delle persone che ha una disabilità con gravi limitazioni ha bassi livelli di istruzione.
Nello specifico, il 57,6% possiede la licenza di scuola media, il 35% ha il diploma e solo il 7,4% è in possesso della laurea. Per la stessa ragione le persone con disabilità raggiungono, in genere, posizioni meno elevate: circa il 54% sono operai o lavoratori in proprio (50,4% nel resto della popolazione), il 46% è un dirigente, libero professionista o quadro (49,6% nel resto della popolazione).
Inserimento nel mondo del lavoro
Eppure in Italia le norme per favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità esistono da molti anni e hanno persino anticipato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, entrata in vigore nel 2008. La norma principale è la legge numero 68 del 1999 che ha introdotto da un lato quote di assunzioni vincolanti per le aziende (con più di 15 dipendenti) e sgravi e incentivi per i datori di lavoro, e dall’altro il cosiddetto collocamento mirato basato sull’idea di trovare il lavoro più adatto alle capacità e alle necessità della persona. Obiettivo della legge è, almeno sulla carta, realizzare l’inclusione sociale e l’autorealizzazione di cui il lavoro dovrebbe essere veicolo. Tassi di occupazione così bassi raccontano però una realtà diversa in cui ancora prevale una cultura del lavoro decisamente poco inclusiva. L’undicesima relazione annuale al parlamento sullo stato di attuazione della legge del 1999 per il diritto al lavoro dei disabili ha recentemente svelato, per esempio, che sono molte le aziende che non rispettano gli obblighi di assunzione. Un problema legato anche al fatto che le sanzioni (196,05 euro al giorno per ogni disabile non assunto), teoricamente previste dalle legge, sono state negli ultimi anni solo poche centinaia.
Il ruolo delle cooperative
Per assolvere gli obblighi previsti dalla legge 68/1999 per l’assunzione delle persone disabili, le aziende, oltre all’assunzione diretta, possono anche affidare la commessa di lavoro ad una cooperativa sociale (art.14 del D.Lgs. 276/03- Legge Biagi). In pratica è possibile delegare a tale cooperativa la selezione, la formazione e la gestione del personale assunto. In questo modo le persone disabili entrano in un progetto di inserimento lavorativo con un tutor dedicato e all’interno di un ambiente sensibile e preparato per la formazione e gestione lavorativa delle specifiche disabilità.
Le cooperative sociali operano in un sistema regolato a livello nazionale, ma le Regioni svolgono un ruolo cruciale nel riconoscimento e nella regolamentazione del loro operato attraverso convenzioni e normative specifiche. Questo garantisce il coordinamento tra il sistema pubblico e il settore cooperativo, lasciando spazio a una certa autonomia operativa da parte delle cooperative. Per fare degli esempi, in Veneto sono attive al momento 281 convenzioni (+ 44% rispetto al 2022), coinvolgendo 560 persone con disabilità, 256 aziende e 85 cooperative sociali. La più attiva è la provincia di Treviso con 89 convenzioni e 203 disabili che hanno trovato lavoro (dati Veneto lavoro).
I supporti necessari
A essere carente è anche il supporto all’inserimento lavorativo. Secondo i dati raccolti dall’European disability forum solo 1 datore di lavoro su 4 ha sviluppato processi di reclutamento accessibili. E più dell’80% dei datori di lavoro non ha un piano per l’acquisizione di tecnologie assistive. Oltre alle barriere fisiche anche quelle relazionali e comunicative rappresentano un ostacolo all’inclusione lavorativa. Uno studio condotto da Boston consulting group in 16 Paesi, ha svelato come il timore di essere discriminati porta spesso le persone a nascondere la propria condizione. Dalla ricerca è emerso ad esempio che le aziende sottostimano il numero dei dipendenti con disabilità. Secondo le imprese si tratterebbe di un numero compreso tra il 4 e il 7% mentre ben il 25% dei lavoratori intervistati ha ammesso di avere una disabilità ma di tenerlo nascosto per timore di essere discriminato.