Persone con disabilità, il progetto di vita parte dall’istruzione e dal lavoro
A gennaio al via la sperimentazione della riforma che prevede più autodeterminazione in tutte le fasi dell’esistenza.
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Accesso alle risorse finanziarie, all’assistenza sanitaria, all’acqua e a servizi sanitari, alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), nonché alla sicurezza alimentare, ad un’istruzione di qualità inclusiva ed equa, a un’uguaglianza di genere, ad una mobilità accessibile, a un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso. A nove anni dalla scadenza dell’Agenda 2030, il “Rapporto sulla Disabilità e lo Sviluppo 2024” delle Nazioni Unite, pubblicato il 20 novembre, mostra che le persone con disabilità stanno rimanendo indietro nell’ambito del percorso che i Paesi stanno perseguendo. I progressi per le persone con disabilità sono insufficienti su circa il 30% degli obiettivi, mentre sul 14% degli obiettivi i progressi sono fermi o addirittura si è registrato un peggioramento delle condizioni. A conti fatti tra i 118 indicatori presi in considerazione nel rapporto per valutare i progressi verso i 63 obiettivi dell’Agenda 2030 identificati come rilevanti per le persone con disabilità, solo 5 indicatori mostrano miglioramenti coerenti con i target da raggiungere. E l’occasione per fare il punto è la giornata internazionale delle persone con disabilità, che si celebra il 3 dicembre.
Il nodo dell’occupazione
L’indipendenza finanziaria, che possa dare allo stesso tempo possibilità di scelte di vita e tutela dal rischio di povertà, resta fra gli obiettivi più difficile da perseguire. Le persone con disabilità, infatti, hanno meno probabilità di far parte del mercato del lavoro. Si stima che di 1,3 miliardi di persone (uno su sei) della popolazione mondiale vivano una disabilità significativa. Di queste solo tre su dieci sono attive nel mercato del lavoro e quando lo sono guadagnare meno dei colleghi, secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). Il documento rivela che le persone con disabilità che lavorano ricevono in media il 12% in meno rispetto agli altri colleghi e che tre quarti di questo divario (9%) non può essere spiegato da differenze di istruzione, età e tipo di lavoro. Nei Paesi a basso e medio reddito questo “divario salariale disabilità” arriva al 26%, e quasi la metà non può essere spiegata da differenze socio-demografiche. La situazione è peggiore per le donne con disabilità, che affrontano anche un sostanziale divario retributivo di genere rispetto alle loro controparti maschili.
E il lavoro è fra i punti fondamentali della Carta di Solfagnano firmata al termine del primo G7 dedicato alla disabilità e tenutosi in Umbria nell’ottobre scorso. Nel testo viene ribadito l’impegno dei Paesi per promuovere unaa vita indipendente; sostenere un’istruzione inclusiva, l’occupazione e condizioni di lavoro dignitose; garantire la disponibilità e l’adattabilità di servizi all’interno della comunità e promuovere l’uso di nuovi servizi accessibili e tecnologie inclusivi. «Lavoro, autonomia e vita indipendente e servizi sono alcune delle otto priorità della Carta di Solfagnano, così come la valorizzazione dei talenti e delle competenze di ogni persona e ciò che accompagna il salto culturale e civile che stiamo compiendo. L’obiettivo è quello di garantire a tutti la piena partecipazione alla vita civile, sociale e politica del nostro Paese e promuovere un nuovo sguardo per investire nelle capacità e non nei limiti delle persone, offrendo occasioni e senza lasciare indietro nessuno» commenta la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli.
La riforma italiana
L’Italia si sta muovendo in questa direzione con la riforma della Disabilità approvata nel luglio scorso e che a gennaio entrerà nella fase sperimentale di 12 mesi in nove province: Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari. «In queste settimane è iniziata la formazione in vista della sperimentazione della riforma che partirà il 1 gennaio 2025 nelle nove province individuate. Si tratta di un’occasione unica per innovare il sistema di presa in carico e cura delle persone con disabilità, che supera la frammentazione tra le risposte sanitarie, sociali e socio-sanitarie grazie al Progetto di Vita» spiega Locatelli.
Perché il progetto di vita abbia basi solide è necessario iniziare dall’infanzia e dall’assicurare anche ai bambini con disabilità il diritto allo studio. A questo scopo sono necessari investimenti sia per abbattere le barriere architettoniche e tecnologiche sia per garantire a tutti coloro che ne hanno diritto gli insegnanti di sostegno. «Dal 2025, grazie al Fondo unico per la disabilità che abbiamo istituito e che ha attualmente una dotazione di 700 milioni di euro, la più alta nella storia di questo ministero, finanzieremo una linea dedicata al trasporto degli studenti con disabilità per sostenere i territori che affrontano bisogni crescenti. Abbiamo appena ripartito 223 milioni per l’autonomia e la comunicazione e stiamo lavorando a un bando da oltre 250 milioni di euro per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità che tenga conto anche della dimensione abitativa» chiosa la ministra.
Il riconoscimento dei caregiver
Se una legge è stata approvata per chi ha una disabilità, manca ancora all’appello una cornice normativa che riconosca i diritti ai caregiver, a coloro cioé che si prendono cura delle persone con disabilità. In un Manifesto-Appello dal titolo “Caregiver: per una Legge inclusiva e di equità sociale” presentato da Carer e Cittadinanzattiva ad ottobre si chiede una legge che garantisca diritti e tutele al caregiver familiare, rispettando quattro criteri: una definizione ampia della figura, che riconosca diritti e tutele anche se il caregiver non convive o non è un familiare della persona assistita; che lo coinvolga attivamente nella stesura del cosiddetto Progetto di vita; che preveda l’attivazione di tutele crescenti rapportate al carico assistenziale e agli impatti/bisogni del caregiver; che abbia risorse congrue per garantire un’effettiva esigibilità delle tutele ed essere così una concreta base di partenza per il disegno e l’attuazione di servizi e sostegni dedicati a chi si prende cura.
«Il tavolo che abbiamo istituito con il ministero del Lavoro per il riconoscimento dei caregiver familiari e che è composto da più di 50 persone tra esperti, professionisti, associazioni e famigliari, ha ultimato i lavori per la stesura di una proposta normativa che trovi una sintesi tra le diverse posizioni e che dia dignità alle persone che amano e che curano» osserva la ministra, che conclude: «A breve, dunque, verrà presentata una proposta che partirà dal caregiver familiare convivente, e prevalente, per garantire tutele differenziate e specifiche ai caregiver familiari. Sono molte le azioni che stiamo portando avanti, il prossimo anno sarà molto impegnativo ma la strada è quella giusta».