Pensioni, gli aumenti nel 2025. Confermato l’indice di adeguamento al 5,4%
Ufficializzato l’indice di adeguamento all’inflazione di quest’anno che si incrocia con l’applicazione del nuovo meccanismo di rivalutazione
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L’indice per la rivalutazione degli assegni pensionistici nel 2025 è dello 0,8 per cento. Tale valore è stato ufficializzato dal decreto del 15 novembre 2024 del ministro dell’Economia di concerto con quello del Lavoro e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 novembre. Confermato al 5,4% l’indice di adeguamento all’inflazione applicato quest’anno, da cui ne consegue che non saranno necessari conguagli sugli importi già incassati dai pensionati.
Il meccanismo a scaglioni
All’inizio dell’anno prossimo, i trattamenti pensionistici subiranno un leggero aumento per adeguarsi all’indice inflazionistico stimato per quest’anno appunto in +0,8 per cento. L’incremento avverrà con regole diverse da quelle utilizzate nel 2024, in quanto ritornerà in vigore il meccanismo per scaglioni in luogo di quello per fasce di quest’anno. L’anno prossimo l’aumento dello 0,8% sarà riconosciuto agli assegni, o alla quota di assegni, di importo fino a quattro volte il trattamento minimo di quest’anno, cioè fino a 2.394,44 euro; la parte oltre quattro volte il minimo e fino a cinque volte sarà maggiorata dello 0,72% e l’eventuale parte ulteriore sarà incrementata dello 0,60 per cento. Per gli assegni superiori a quattro volte il minimo si tratta di un sistema più vantaggioso di quello attuale, anche se, poiché l’indice inflazionistico è contenuto, il guadagno è limitato. Ad esempio una pensione mensile di 3.000 euro lordi salirà a poco più di 3.023 euro, mentre con le regole attuali diventerebbe 3.012 euro.
L’aumento che scatterà a gennaio sarà provvisorio, in quanto l’indice dello 0,8% non è definitivo ma è stato stimato dall’Istat sulla base dei dati effettivi dei primi nove mesi del 2024 e di quelli previsti per l’ultimo trimestre. Qualora l’indice definitivo dovesse essere superiore o inferiore, a inizio 2026 si renderà necessario un conguaglio. Ciò non accadrà il prossimo mese di gennaio con riferimento agli importi erogati quest’anno, perché l’indice definitivo del 5,4% coincide con quello provvisorio.
Le minime
L’adeguamento all’inflazione comporta la variazione di numerosi valori in ambito pensionistico. Il trattamento minimo di riferimento passerà da 598,61 euro lordi mensili a 603,40 euro (valore non ancora ufficializzato dall’Inps, come i seguenti del 2025). Parliamo di importo di riferimento perché dal 2023 quello effettivamente messo in pagamento è superiore per effetto della maggiorazione extra introdotta in via eccezionale per l’anno scorso e quello attuale, in cui il minimo in pagamento è di 614,77 euro.
Concluso l’effetto di questo extra, l’anno prossimo le minime diminuirebbero e per questo motivo nel disegno di legge di Bilancio ora in discussione in parlamento è previsto un ulteriore aumento extra una tantum del 2,20% per l’anno prossimo e di conseguenza il nuovo minimo dovrebbe essere di 616,67 euro. Con l’effetto che le minime avranno un aumento reale dello 0,30 per cento. Tuttavia la partita su questo fronte è aperta e la versione definitiva della legge potrebbe disporre una rivalutazione maggiore, sempre che si trovino le risorse necessarie.
I limiti provvisori e contributivi
L’aumento del minimo ha riflessi sulla fruizione delle pensioni quota 103: infatti per chi matura i requisiti quest’anno o il prossimo (secondo il Ddl di Bilancio 2025) l’importo di questi assegni viene limitato a quattro volte il minimo stesso fino al raggiungimento dell’età per il pensionamento di vecchiaia, mentre in caso di pensioni anticipate contributive l’importo massimo temporaneo è pari a cinque volte il minimo (così come per quota 103 nella versione dell’anno 2023).
L’assegno sociale, che passerà da 534,41 a 538,69 euro mensili lordi, a sua volta si ripercuote sull’importo minimo necessario per accedere alla pensione anticipata contributiva, che sarà di 1.616,06 euro mensili lordi, ridotto a 1.508,32 per le donne con un figlio e a 1.400,59 con almeno due figli. Altri importi di riferimento sono la prima fascia di retribuzione oltre la quale scatta l’ulteriore 1% di contribuzione: da 55.008,07 euro annui salirà a 55.448,13 euro. Il massimale di retribuzione imponibile, oltre il quale chi è soggetto interamente al metodo di calcolo contributivo della pensione non versa contributi, passerà da 119.650,00 euro a 120.607,20 euro.