Energia

Petrolio e gas in picchiata: i fondi liquidano, disorientati da Trump

Il Brent è sotto 70 dollari al barile, ai minimi da tre anni. Il gas al Ttf è crollato di oltre il 30% dai picchi di febbraio e scambia per meno di 40 euro al Megawattora. Ribassi salutari, che però non si si fondano su presupposti incoraggianti

di Sissi Bellomo

3' di lettura

Petrolio sotto 70 dollari al barile, ai minimi da tre anni. E prezzi del gas in picchiata, inferiori a 40 euro per Megawattora sul mercato europeo, dove giovedì 6 c’è stato un tonfo di quasi il 9% al Ttf, stimolato anche dall’ipotesi di un ritorno del gas russo attraverso la rotta ucraina.

A regnare sovrana in realtà è l’incertezza, con scenari geopolitici ed economici che diventano ogni giorno più confusi, condizionati dall’estrema volubilità dimostrata da Donald Trump. Minacce che non risparmiano nessuno, nemmeno gli alleati storici degli Stati Uniti. Dazi commerciali che vengono annunciati, imposti, rinviati, in qualche caso ritirati o alleggeriti. Paesi che entrano nel mirino di sanzioni ed altri per cui si prospetta in termini ancora vaghi una “grazia”.

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Strategie di investimento impossibili

Parole e fatti concreti si affastellano in un vortice che disorienta anche gli osservatori più esperti e che ormai scoraggia qualsiasi strategia di investimento. Ed è soprattutto da questo che sembra dipendere la netta tendenza ribassista che si osserva sui mercati energetici: una discesa di prezzi salutare per consumatori e imprese, ma che non si fonda su presupposti rassicuranti.

Da un lato c’è un crescente timore di danni all’economia globale, che comporterebbe una riduzione dei consumi energetici. E dall’altro c’è anche il caos provocato dalle politiche Usa, che spinge gli speculatori a farsi da parte in attesa di capire da che parte soffierà il vento.

I fondi d’investimento – che fino a tempo fa soffiavano sul fuoco dei rincari energetici – oggi riducono l’esposizione a questi mercati ed essenzialmente lo fanno chiudendo posizioni rialziste. Il fenomeno riguarda tanto il gas quanto il petrolio.

Dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, lo scorso 20 gennaio, fino al 25 febbraio (quando si ferma la visibilità sui dati) gli hedge funds hanno liquidato contratti sul greggio per 239 milioni di barili, con vendite più accentuate per il Wti, scatenate forse anche dal timore di difficoltà nelle consegne in borsa per via dei dazi contro Canada e Messico, osserva John Kemp, analista indipendente.

La posizione netta lunga (all’acquisto) sul greggio Usa si è ridotta in cinque settimane da 236 a 39 milioni di barili. E le liquidazioni dei fondi sono quasi certamente proseguite. Giovedì 6 il Wti scambiava intorno a 66 dollari al barile – un prezzo che inizia a mettere in difficoltà i produttori di shale oil Usa– mentre il Brent ha chiuso poco sopra 69 dollari, entrambi non lontani dai minimi triennali di mercoledì 5.

Quanto al gas, al Ttf il prezzo è sceso a 37,86 euro per Megawattora, sui livelli dell’autunno scorso e in ribasso di oltre il 30% dai picchi di metà febbraio. Anche in questo caso un ruolo determinante l’hanno avuto gli speculatori, che hanno ridotto l’esposizione rialzista netta ai minimi da luglio.

Possibili cedimenti sul fronte Russia

Il numero delle posizioni speculative “lunghe” – che si era spinto al record storico – è ora il più basso da tre anni, osserva Bloomberg. Ma questo non significa che i fondi abbiano cambiato orientamento in massa: in parte si sono semplicemente allontanati, come evidenziato dalle posizioni aperte (open interest), scese ai minimi da dieci mesi. «I trader stanno forse cercando di limitare i rischi visto che ci sono enormi incertezze riguardo all’accordo di pace Russia-Ucraina e al possibile ritorno del gas russo», osserva Han Wei, analista di BloombergNEF.

A complicare ulteriormente gli scenari ci sono anche le politiche europee. La Commissione Ue ha attenuato il rigore sugli obblighi relativi alle scorte, ma solo in minima parte, consentendo di rinviare dal 1° novembre al 1° dicembre il traguardo di riempire al 90% gli stoccaggi ai Paesi che lo richiederanno con un motivo giustificato. E nel frattempo ha proposto di prolungare gli obblighi fino al 2027.

Bruxelles tuttavia sta anche mostrando apparenti segnali di cedimento sul fronte Russia: la roadmap per azzerare le forniture da Mosca non sarà più presentata il 26 marzo, come annunciato in precedenza. E nell’ambito delle trattative su difesa e Ucraina la Slovacchia sembra aver ottenuto un’apertura a cercare «soluzioni praticabili» per riattivare i flussi di gas via Ucraina.

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