Sanità

Farmaceutici, acquisizioni ai livelli più bassi degli ultimi 10 anni

A fine novembre il comparto aveva completato 558 operazioni per un valore complessivo di 67,2 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2016

di Mo.D.

3' di lettura

L’attività di fusioni e acquisizioni nell’industria farmaceutica è scesa al livello più basso dell’ultimo decennio quest’anno. I big del settore, infatti, si stanno orientando a rilevare società biotecnologiche con farmaci ancora nelle fasi iniziali di sperimentazione, dal momento che il premio da riconoscere e di molto inferiore rispetto a quello delle aziende con farmaci pronti alla commercializzazione.

A fine novembre, il comparto aveva completato 558 operazioni per un valore complessivo di 67,2 miliardi di dollari. Il livello più basso dal 2016, secondo i dati diffusi dalla Borsa di Londra. In questo contesto il più grande accordo biotech dell’anno risulta essere l’acquisizione da 4,9 miliardi di dollari da parte di Vertex della società biotech per malattie autoimmuni Alpine Immune Sciences. Un deal che non ha nulla a che vedere con la più grande acquisizione dello scorso anno, cioé l’acquisizione da 43 miliardi di dollari dello sviluppatore di farmaci antitumorali Seagen da parte di Pfizer. Tanto è vero che valore complessivo delle operazioni a livello globale alla fine di novembre risultava essere pari alla metà di quello dello scorso anno, secondo i dati Lseg.

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Le difficoltà del settore non incentivano il consolidamento

L’industria farmaceutica sta vivendo una fase di riassestamento rispetto al periodo post Covid e sta cercando nuovi ambiti di tenuta e crescita dei ricavi. A questo si aggiunge la raffica di scadenze di brevetti. Le stime indicano infatti circa 59 miliardi di dollari di vendite in meno per i principali gruppi farmaceutici a causa della scadenza dell’esclusiva su un paniere di 190 farmaci entro la fine del decennio, secondo Kpmg.

I gruppi farmaceutici hanno comunque continuato un’attività di scouting, ma puntando su target selezionati e comunque di dimensioni facilmente “digeribili” e allo stesso tempo hanno approfittato del periodo per razionalizzare le proprie divisioni e cedere gli asset non core. Da un lato, quindi, ci sono le operazioni come quella di Novo Nordisk, ad esempio, quest’anno ha rilevato per 11 miliardi di dollari tre siti di produzione da Catalent; dall’altro le dismissioni come quella di Sanofi, invece, è stata protagonista di una cessione importante, vendendo la propria divisione di farmaci di consumo al gruppo di private equity Clayton Dubilier & Rice in un accordo da 16 miliardi di euro.

La nuova era Trump

In questo 2024 i grandi gruppi del comparto farmaceutico, quindi, hanno preferito concentrarsi su operazioni inferiori alla soglia di 5 miliardi di euro, preferendo rilevare società private piuttosto che aziende quotate in Borsa.

La danese Lundbeck ha acquistato la start up di neuroscienze Longboard per 2,6 miliardi di dollari a ottobre; Merck ha rilevato la biotech di EyeBio per 3 miliardi di dollari. Certo non mancano le eccezioni come l’annuncio di fine novembre della svizzera Roche, che non spende cifre esorbitanti ma fa shopping in Borsa rilevando per circa un miliardo di dollari Poseida Therapeutics, che è alla ricerca di cure per alcuni tumori e malattie rare con una serie di terapie cellulari e farmaci genetici. L’accordo prevede che Roche paghi 9 dollari per azione di Poseida Therapeutics, a cui potrebbero aggiungersi altri 4 dollari per azione se i programmi di farmaci raggiungeranno specifiche traguardi commerciali. Il tutto con un prezzo che riconosce agli azionisti un premio del 215% rispetto ai corsi di Borsa.

Analisti ed esperti si aspettano, però, che la situazione possa evolvere in modo positivo sotto l’’amministrazione Trump. Diverse fonti, riportare da Reuters, affermano che i lobbisti sarebbero al lavoro per poter ottenere alcuni cambiamenti soprattutto relativamente alla negoziazione del prezzo dei farmaci. Il tentativo sembra essere quello di allungare di quattro anni il periodo in cui i prezzi non sono negoziabili. Questo darebbe una maggiore stabilità ai bilanci delle big pharma soprattutto, dando loro modo di coprire l’arco temporale necessario per portare alla commercializzazione i farmaci attualmente in fase di ricerca.


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