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Language dynamics tra linguistica e teoria della complessità

2023, Francesca Sunseri et al. (a cura di) Evoluzione e tecnica. Una questione aperta, Palermo, Palermo Unipa Press. pp. 377-396.

https://doi.org/10.3389/FPSYG.2019.03056

Abstract

La mutevolezza linguistica come problema. Le lingue naturali sono fra gli oggetti di indagine più impegnativi per lo studioso. Uno degli aspetti che da sempre ha destato maggiore attenzione è il loro carattere dinamico (language dynamics), ovvero la mutevolezza. Questa si manifesta nel tempo e nello spazio, è una proprietà intrinseca e non eliminabile. D'altro canto, essa è un problema da più punti di vista. Lo è dalla prospettiva generale della cultura, se è vero che la saggezza universale ha elaborato miti per spiegare la diversità linguistica (Torre di Babele nella tradizione ebraico-cristiana). Lo è per i parlanti, divisi tra la spinta a usare la propria lingua liberamente e la rigidità della norma che li limita. Ma è un problema soprattutto per gli studiosi, divisi tra chi pone al centro dell'attenzione l'invarianza e chi la varianza.

Language dynamics tra linguistica e teoria della complessità Michele Longo Introduzione: la mutevolezza linguistica come problema Le lingue naturali sono fra gli oggetti di indagine più impegnativi per lo studioso. Uno degli aspetti che da sempre ha destato maggiore attenzione è il loro carattere dinamico (language dynamics), ovvero la mutevolezza. Questa si manifesta nel tempo e nello spazio, è una proprietà intrinseca e non eliminabile. D’altro canto, essa è un problema da più punti di vista. Lo è dalla prospettiva generale della cultura, se è vero che la saggezza universale ha elaborato miti per spiegare la diversità linguistica (Torre di Babele nella tradizione ebraico-cristiana). Lo è per i parlanti, divisi tra la spinta a usare la propria lingua liberamente e la rigidità della norma che li limita. Ma è un problema soprattutto per gli studiosi, divisi tra chi pone al centro dell’attenzione l’invarianza e chi la varianza. La mutevolezza linguistica può essere analizzata da due prospettive: l’evoluzione (language evolution) e il mutamento (language change). L’evoluzione del linguaggio è la fase che conduce dalla mancanza di linguaggio al possesso di una lingua specifica. Si parla di filogenesi del linguaggio se si considera lo sviluppo linguistico del genere homo.1 Si parla di ontogenesi del linguaggio, se si considera lo sviluppo della lingua del singolo esemplare di homo sapiens.2 Il mutamento linguistico invece si manifesta come la variazione nel tempo di un elemento o funzione di una parte di una lingua. Se si descrive la somma di tutti i mutamenti che avvengono nelle singole parti di un sistema linguistico in un lasso di tempo stabilito, allora si parla di glottogenesi.3 L’aspetto problematico a cui accennavo sopra ha anche a che fare con la domanda se sia opportuno tenere distinte le due prospettive. Gli specialisti di evoluzione del linguaggio sono diversi da chi si occupa di mutamento. Esiste però una linea di ricerca che va invece verso l’unificazione. Si tratta dei modelli coevoluzionisti,4 che sono in sintonia con Haspelmath, il quale distingue tra “evoluzione della linguisticalità” e “evoluzione delle lingue”, ma ricorda che l’emergenza della capacità di linguaggio non può essere distinta dalla evoluzione culturale delle lingue.5 Benítez-Burraco porta diversi argomenti a supporto di questa ipotesi e mette in discussione l’idea che la cognizione umana e la facoltà di linguaggio possano essere concepiti in maniera così uniforme come si fa di solito.6 In questa prospettiva le domande della più recente ricerca sull’evoluzione del linguaggio si sovrappongono ai cinque problemi C. Coupé/ F. Pellegrino/ S. S. Mufwen (a cura di), Complexity in Language: Developmental and Evolutionary Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge 2017. 2 La mutevolezza si manifesta anche nell’apprendimento di lingue seconde (language development), D. Larsen Freeman/ L. Cameron, Complex Systems and Applied Linguistics, Oxford University Press, Oxford, 2008. 3 J.R. Hurford, Nativist and Functional Explanations in Language Acquisition, in I.M. Roca (a cura di), Logical Issues in Language Acquisition, Foris, Dordrecht 1990, pp. 86-136. 4 N. Evans, Language diversity as a tool for understanding cultural evolution, in J. P. Richerson/ M. H. Christiansen (a cura di), Cultural Evolution: Society, Technology, Language, and Religion, MIT Press, Cambridge 2013, pp. 233–268; S. Kirby, Culture and biology in the origins of linguistic structure, in «Psychonomic Bulletin & Review» 24/1 (2017), pp. 118–137. 5 M. Haspelmath, Human linguisticality and the building blocks of language, in «Frontiers in Psycology» 10 (2020), doi:10.3389/fpsyg.2019.03056. 6 A. Benítez-Burraco, Grammaticalization and language evolution: Focusing the debate, in «Language Sciences» 63 (2017), pp. 60-68. 1 fondamentali della scienza del mutamento linguistico7. Filogenesi, ontogenesi e glottogenesi possono dunque essere viste come manifestazioni di un unico processo dinamico di mutamenti non lineari che riguardano il generale (le lingue o il genere Homo) e il particolare (i singoli individui del genere Homo). Dal punto di vista generale (filogenesi), il processo vede l’emergenza della facoltà di linguaggio che si intreccia con lo sviluppo di lingue specifiche, non identificabili per l’epoca preistorica, note per l’epoca storica (glottogenesi). Dal punto di vista particolare, il processo vede l’emergenza della L1 in acquisizione della lingua madre da parte dei bambini (ontogenesi) o l’apprendimento di lingue seconde in qualunque fase della vita.8 Domande aperte sulla mutevolezza linguistica La mutevolezza linguistica è un tema caro ai linguisti. Nell’Ottocento i Neogrammatici elaborano la prima teoria del mutamento linguistico e fondano le basi della ricostruzione linguistica. A inizi del Novecento Saussure dà avvio a una nuova stagione di studi sul mutamento linguistico con la distinzione tra sincronia e diacronia. A metà del Novecento, Chomsky sposta l’attenzione sulle basi biologiche del linguaggio. L’universale (ciò che le lingue hanno in comune) diventa più importante del particolare (quello che le lingue hanno di diverso e di unico). Dagli anni Novanta del Novecento, un nuovo settore si affaccia sulla scena della ricerca scientifica e linguistica: la teoria della complessità (TC), nota anche come scienza della complessità.9 L’espressione è in realtà un termine che copre settori complementari: teoria del caos (matematica), teoria dei sistemi dinamici non lineari (matematica), teoria dei sistemi e sinergetica (fisica), sistemi complessi adattativi (fisica) strutture dissipative (chimica), sistemi autopoietici (biologia), emergentismo (filosofia). Sviluppata nell’ambito delle scienze dura, la TC è stata applicata presto nelle scienze sociali, e da ultimo nelle scienze del linguaggio. La linguistica è un arcipelago di teorie e tradizioni consolidate nel tempo, ma profondamente divise, tra l’altro, dall’opposizione (insanabile) tra funzionalisti e formalisti.10 La TC in linguistica non è riconducibile né agli uni, né agli altri. Quali sono le caratteristiche che essa deve avere per essere accolta con favore dagli studiosi di una disciplina che ha una così lunga tradizione alle spalle? • • • Deve rispondere a domande di ricerca che ancora non hanno ricevuto una risposta. Deve dare risposte migliori a domande di ricerca che hanno ricevuto già una risposta. Deve recepire le acquisizioni che sono ormai patrimonio comune. La TC è capace di fare ciò? Rispondere a queste domande è lo scopo dell’articolo, che si propone di fare una mappatura di alcune applicazioni della TC alla mutevolezza linguistica e un confronto con alcuni modelli dominanti in linguistica, per verificare cosa la TC porti di nuovo. 7 U. Weinrich/W. Labov/ M.I. Herzog, Empirical Foundations for a Theory of Language Change, in W. P. Lehmann/Y. Makiel, Directions for Historical Linguistics: A symposium, University of Texas Press, Austin/New York 1968, pp. 98-188. 8 J.H. Hurford, Evolutionary Theories of Language: Current Theories, in R.E. Asher (a cura di), Encyclopedia of Language and Linguistics, Elsevier, Amesterdam, 2006, Volume IV, pp. 361-369. 9 Per un’introduzione tecnica alla teoria, cfr. C.S. Bertuglia/F. Vaio, Complessità e modelli, Bollati Boringhieri, Torino, 2011. D’ora in avanti utilizzerò la sigla TC per riferirmi alla teoria della complessità. 10 P.M. Bertinetto, Adeguate imperfezioni, Sellerio, Palermo 2009. Teorie a confronto In senso tecnico un sistema è complesso se consta di numerose reti di componenti senza alcun controllo centrale e con regole semplici che fanno emergere un comportamento collettivo complesso e l’adattamento per via di evoluzione o di apprendimento.11 A partire dagli anni Novanta, diversi linguisti hanno cominciato a guardare con interesse alla complessità, ma l’uso del termine mostra discordanze significative. Sono tre i sensi possibili: complessità strutturale (che è proprietà dei testi e ha a che fare con il numero di elementi e dei loro rapporti); complessità cognitiva (che ha che fare con il costo cognitivo che una struttura linguistica richiede); complessità nello sviluppo (che in acquisizione di L2 ha a che fare con l’ordine in cui le strutture linguistiche appaiono e i parlanti se ne impossessano).12 Nessuno di questi sensi è quello utilizzato nella TC. In ragione di ciò, ritengo importante distinguere i lavori linguistici che usano il termine complessità in senso non tecnico da quelli che lo fanno. Quindi per costruire una comparazione più efficace, propongo la seguente classificazione: 1. Teorie non orientate verso la complessità 2. Teorie orientate verso la complessità 3. Teorie basate sulla complessità Nella categoria 1 faccio rientrare teorie che non fanno nessun riferimento alla TC. Vi ricade tutto ciò che la linguistica ha prodotto fino agli anni Ottanta (generativismo, funzionalismo, cognitivismo, tipologia linguistica), oltre quanto è stato prodotto dagli anni Ottanta in poi, ma che non ha preso in considerazione la complessità. Nella categoria 2 faccio rientrare quelle teorie in cui la parola complessità gioca un ruolo importante. Resta da vedere in che modo questa venga intesa e come la TC venga utilizzata. Nella categoria 3 faccio rientrare i lavori che usano la TC in senso stretto, con metodi e procedure altamente specializzate. In letteratura, le analisi di comparazione fra complessità e linguistica tradizionale per quello che concerne la mutevolezza linguistica sono limitate e si trovano per lo più all’interno dei lavori dei linguisti della complessità.13 Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di colmare questa lacuna. Una premessa è necessaria. Si tratta di una selezione di testi e riferimenti che non ha pretesa di esaustività. Sarebbe necessario più spazio per operare una rassegna completa. Ma seppur piccola, questa selezione, si spera, darà una prima idea delle differenze sulla mutevolezza tra teorie tradizionali e TC. Nella categoria delle teorie non orientate verso la complessità, come detto sopra, si può collocare tutta la tradizione che va dalla linguistica novecentesca fino agli anni 11 W. Kretzschmar, Language and complex systems, Cambridge University Press, Cambridge 2015, p. 5. 12 G. Pallotti, A simple view of linguistic complexity, in «Second Language Research» 31/1 (2015), p. 2. La complessità strutturale è oggetto di ampi studi: cfr. Ö. Dahl, The Growth and the Maintenance of Linguistic Complexity, Benjamins, Amsterdam 2004 e F. Di Garbo/M. Miestamo, The evolving complexity of gender agreement system, in F. Di Garbo/B. Olson/B. Wälchli, Grammatical Gender and Linguistic Complexity, Volume II, Language Science Press, Berlin, 2020, pp. 15-60). F. Di Garbo/M. Miestamo, The evolving complexity, cit. p. 16 riducono la complessità alla sola lunghezza della descrizione: una struttura A è meno complessa di una struttura B, se la più breve descrizione della prima è più breve di quella della seconda. In prospettiva glottogenetica, si tende a immaginare una direzione nell’evoluzione o dal meno complesso al più complesso, o dal più complesso al meno complesso. Haarmann propone una storia universale delle lingue e mette in guardia dall’immaginare una qualunque direzione nell’evoluzione delle lingue, H. Haarmann, Storia universale delle lingue, Bollati Boringhieri, Torino 2021, pp. 26-29; Haarmann, Storia, cit. p. 29: «Non esiste nessuna tendenza universale verso strutture più complesse […] (le lingue) si trasformano piuttosto causalmente in un senso o nell’altro.» 13 W. Kretzschmar, The linguistics of Speech, Cambridge University Press, Cambridge 2009 e Id. Language and complex, cit. Ottanta. Per lungo tempo gli studiosi hanno evitato la filogenesi del linguaggio, per occuparsi invece di glottogenesi. Hanno catalogato i tipi di mutamento: fonetico, fonologico, morfologico, sintattico, semantico. Ne hanno ricercato le cause, distinguendo fattori interni (minimo sforzo; economia; analogia) e fattori esterni (contatto linguistico, migrazioni). Le teorie del mutamento linguistico prodotte dalle diverse scuole dipendono dalla teoria di lingua adottata. Ma a fronte delle diversità, tutte queste teorie condividono l’assunto che le lingue siano sistemi fatti di parti minime che si relazionano attraverso regole, definibili ai diversi livelli di analisi e che formino strutture. La prospettiva strutturalista vede le lingue come sistemi che hanno una loro simmetria interna, che tendono a mantenere. Il mutamento è il modo in cui un sistema reagisce alle variazioni per mantenere la sua simmetria.14 Secondo Antilla, le lingue sono sistemi teleologici diretti verso uno scopo, quello di mantenere una loro omoestasi.15 Il generativismo di Chomsky è la teoria che ha dominato la linguistica per gran parte della seconda metà del Novecento. Nei suoi più recenti sviluppi, il Generativismo ha assunto le forme di Minimalismo ed è in questa forma che lo prenderò qui in considerazione.16 La teoria generativista è interessata a individuare ciò che le lingue hanno in comune. I generativisti parlano di Grammatica Universale, che immaginano come un sistema innato e nascosto di regole che guida l’acquisizione della L1 da parte degli apprendenti. Tale sistema è invariante (perché biologicamente determinato) e profondo, nel senso che non è visibile a occhio nudo.17 Rispetto al tema della mutevolezza linguistica, i generativisti hanno elaborato il cosiddetto modello di principi e parametri. La diversità delle lingue fra di loro è dovuta al fatto che ogni lingua risponde in modo particolare ad alcuni parametri, che sono generali e prevedono opzioni obbligatorie di scelta. La mutevolezza è vista come il risultato della variazione individuale. Il luogo in cui ciò avviene è la trasmissione intergenerazionale, durante la quale i parlanti (bambini) operano una diversa parametrizzazione a seguito di rianalisi di alcune parti della lingua. Questo modello suscita alcune perplessità. Resta da capire quando e perché alcuni parlanti operano la rianalisi, cosa che le generazioni precedenti non hanno fatto.18 I parametri a loro volta sono statici e non rendono bene il carattere dinamico delle lingue. Un ultimo aspetto riguarda l’interazione tra filogenesi, ontogenesi e glottogenesi che i generativisti tendono a trascurare. La linguistica formalistica (strutturalista e generativista) corre il rischio di enfatizzare le lingue a discapito dei parlanti, nonché di ipostatizzarle. Per questo è importante ricordare che le lingue non cambiano. Sono i parlanti che le cambiano attraverso le loro interazioni.19 Questa affermazione si può porre come assioma della ricerca sulla mutevolezza linguistica portata avanti dalle scuole linguistiche a matrice funzionalista. Mi soffermo in particolare sulla prospettiva sociolinguistica.20 Cfr. per esempio la famosa teoria del “Buco vuoto” di A. Martinet, Function, Structure and Sound Change, in «Word» 8/1 (1952), secondo cui se si crea un vuoto in una parte del sistema, tutto il resto reagirà per occupare quello spazio. 15 R. Antilla, Historical and comparative Linguistics, J. Benjamins, Amsterdam & Philadelphia 1989 pp. 392-393. 16 C. Boeckx (a cura di), The Oxford Handbook of Linguistic Minimalism, Oxford University Press, Oxford, 2011. 17 La grammatica universale è detta anche E-language o Language Acquisition Device. 18 Altra domanda che attende risposta è perché il baby talk che i bambini sviluppano nell’acquisizione di L1 non venga mai regolarizzato negli sviluppi successivi. 19 W. Croft, Explaining Language Change. An evolutionary Approach, Pearson Education, Harlow 2000, p. 4. 20 I più recenti modelli basati sull’uso rientrano negli approcci funzionalisti. 14 La sociolinguistica porta l’attenzione sul ruolo determinante che il parlante ha nella dinamica delle lingue. Un parlante introduce una innovazione che si pone come variante accanto alle altre già presenti. L’innovazione si diffonde a partire da un gruppo sociale che ha particolare prestigio. Il mutamento avviene, quando una comunità di parlanti fa propria la variante.21 Il processo avviene in maniera inconsapevole, per cui il mutamento è il risultato della somma di azioni inconsapevoli di parlanti che condividono l’esigenza di capirsi.22 La prospettiva sociolinguistica sul mutamento è rilevante in quanto porta enfasi sul contesto e mette in relazione lineare la variazione (sincronica, sempre presente), l’innovazione (che accade in un momento), la diffusione (che richiede tempo) e il mutamento (che è visto come il risultato finale). Si tratta di un modello più ricco di quello generativista, ma che propone una spiegazione di tipo lineare (causa-effetto) e trascura la relazione tra filogenesi e ontogenesi. Un contributo importante in questa direzione si deve a Tomasello secondo il quale l’evoluzione del linguaggio (e dunque la mutevolezza linguistica) dipende dalla interazione significativa tra parlanti che cooperano per il raggiungimento di scopi comuni. Nel modello di Tomasello, che è usage-based, la filogenesi si rispecchia nella ontogenesi. Nell’una e nell’altra la dinamica attraversa le seguenti fasi: pantomime, pointing, joint attention, joint intention. L’attenzione condivisa favorisce la formazione di patterns di produzione linguistica che costruiscono la grammatica. La grammaticalizzazione è l’insieme di processi storici e ontogenetici che ha come output un inventario di costruzioni (la grammatica). La frequenza della ricorrenza delle costruzioni è un fattore fondamentale nella dinamica evolutiva.23 Nei modelli considerati, la mutevolezza o si origina all’interno del sistema linguistico e della comunità di parlanti e lì si spiega (cause interne). Oppure si origina all’esterno del sistema o di una comunità di parlanti e lì trova spiegazione (cause esterne). Nell’uno e nell’altro caso, le teorie che fanno uso del concetto di causa (del mutamento), immaginano una relazione lineare di causa ed effetto tra elementi del sistema linguistico. Nel prosieguo si mostrerà che non è così per i linguisti della complessità. Tra le teorie orientate verso la complessità cito Hopper, primo linguista a far uso della TC.24 Egli associa l’aggettivo emergent al termine grammar che considera un «epifenomeno sempre in processo, che non arriva mai a conclusione.»25 La grammatica non esiste in quanto tale in una lingua, ma esiste come descrizioni di regolarità indirettamente derivate dalle produzioni dei parlanti. La grammatica non è immanente alle lingue né lo sono le unità del metalinguaggio della linguistica (fonemi, morfemi). Ma è creato come modello di analisi nella mente del linguista. Nella stessa direzione va Bybee, per la quale le unità linguistiche sono emergenti e autoorganizzanti.26 La frequenza d’uso diventa un elemento fondamentale nella costruzione della grammatica di una lingua e nell’interpretazione della mutevolezza.27 Per la studiosa, questa è un processo continuo e le lingue sono il risultato di scelte additive di milioni di individui che interagiscono, dotati di memoria e reattivi al feedback.28 Per un verso il lavoro di Bybee è orientato verso la TC, da cui trae i concetti W. Labov, Principles of Linguistic Change: Internal Factors, Basil Blackwell, Oxford 1994. Si parla non a caso di teoria della mano invisibile, cfr. R. Keller, On Language Change:The invisible hand in Language, Routledge, London & New York 1994 [1990]. 23 M. Tomasello, Constructing a language, Harvard University Press, Cambridge, MA 2003. 24 P. Hopper, Emergent Grammar, in «Berkeley Linguistic Society» 13 (1987), pp. 139-157. 25 Ibi, p. 140, (traduzione del testo inglese a cura di chi scrive). 26 J. Bybee, Phonology and language use, Cambridge University Press, Cambridge MA, 2001. 27 J. Bybee, Frequency of use and the organization of Language, Oxford University Press, Oxford/New York 2007. 28 J. Bybee, Language, use and cognition, Cambridge University Press, Cambridge 2010. 21 22 di emergenza e autoorganizzazione. Per un altro verso però la teoria di lingua è quella tradizionale, ovvero di unità che si combinano a formare una struttura, sicché emergenza e autorganizzazione rimangono slegate dal resto. In più alcuni termini tecnici (per esempio attrattori strani) non sono usati in maniera tecnica. Il testo di riferimento per l’applicazione della TC alle lingue naturali è quello di Nick Ellis - Diana Larsen Freeman.29 Si apre con un position paper in cui si definiscono i principi di base. La grammatica è la rete costituita a partire da istanze di uso delle lingue e le sue unità sono le costruzioni. La grammaticalizzazione è il processo universale e sempre presente che descrive il funzionamento di una lingua e la sua mutevolezza. Le lingue sono sistemi complessi adattativi: complessi nel senso che hanno agenti multipli che interagiscono; adattativi nel senso che il comportamento dei parlanti si basa su interazioni passate che determinano quelle future. Il comportamento di un parlante dipende dalla competizione di diversi fattori, da quelli percettivi a quelli motivazionali. Le strutture delle lingue emergono da patterns interrelati di esperienze, interazioni sociali e processi cognitivi. Il mutamento è l’effetto dell’iterazione a lungo termine di pratiche sociali che portano alla fissazione di antiche forme e alla creazione di nuove. Altro elemento importante di questo lavoro è la scoperta della distribuzione non lineare delle varianti. Uno dei tentativi più significativi di fondere le teorie tradizionali sul mutamento linguistico con la TC è il lavoro di Lass.30 Egli reinterpreta i diversi tipi di mutamento linguistico e le sue cause (change as loss, flux, creatio ex nihilo, degeneration, progress) e li colloca dentro un sistema di cicli che spiegano la possibile direzionalità del mutamento. La ciclicità è una delle forme in cui si manifesta la non linearità, a sua volta caratteristica dei sistemi complessi. Lass la utilizza per superare la linearità della spiegazione causa effetto e per integrare il mutamento con l’evoluzione, da lui intesa come an exaption. Nelle teorie basate sulla complessità rientrano coloro che usano la TC in senso tecnico e ne seguono le procedure. Si rende necessaria qui una precisazione terminologica. In alcuni studi si fa uso dell’etichetta TC,31 in altri si parla di sistemi dinamici,32 in altri ancora di sistemi complessi adattativi.33 In maniera semplicistica si tende a pensare che si tratti di etichette diverse per la stessa teoria. In realtà sebbene tutti gli autori facciano riferimento agli stessi fondamenti, spesso dietro la diversità di etichette si nasconde una diversità di procedura che non deve essere sottovalutata. Per ragioni di spazio, prenderò in considerazione solo gli studi in cui si usa l’etichetta TC. Mi soffermerò sul lavoro pluridecennale di Kretzschmar. Si tratta di un sociolinguista con formazione tradizionale, che ha lavorato ampiamente sulle varietà dell’inglese, in particolare nel suo aspetto fonico. Ben presto però abbandona la prospettiva tradizionale per abbracciare quella della complessità. Il suo lavoro seminale è The Linguistics of Speech (2009) in cui propone di rifondare sulla TC quella che lui chiama N. Ellis/D. Larsen Freeman (a cura di), Language as Complex Adaptative System, Wiley Balckwell, Oxford 2009. 30 R. Lass, Historical Linguistics and Language Change, Cambridge University Press, Cambridge, 1997. 31 P. Hiver/ A.Al-Hoorie, Research Methods for Complexity Theory in Applied Linguistics, Multilingual Matters, Bristol 2020; F. La Mantia/I. Licata/P. Perconti (a cura di), Language in Complexity: The Emerging Meaning, Springer, Berlino 2018. 32 M. Verspoor/K. de Boot/ W. Lowie, A Dynamic Approach to Second Language Development, Benjamins, Amsterdam/Philadelphia 2011. 33 Cfr. Ellis/Larsen Freeman, cit. Sulla questione, v. K. de Bot, Complexity Theory and Dynamic Systems Theory: Same or different? in L. Ortega/Z. Han, Complexity Theory and Language Development, Benjamins, Amsterdam/Philadelphia, 2018, pp. 51-58 29 la linguistica dello speech, ovvero la linguistica delle lingua d’uso.34 In questo modello, gli speech sono sistemi complessi, così definiti: la lingua (speech) è un sistema aperto, dinamico e non in equilibrio; include un numero enorme di agenti che interagiscono; mostra un ordine emergente; la distribuzione delle unità è non lineare; ha la proprietà della scalarità.35 Tale assunto di base comporta conseguenze importanti. La più significativa è che osservare le produzioni linguistiche da un punto di vista dei sistemi adattativi complessi mette in forte crisi l’idea tradizionale che una lingua sia fatta di unità e di regole di combinazione.36 Un’altra importante conseguenza è che si mette in discussione l’idea stessa di grammatica. Per Kretzschmar questa (se concepita come un sistema sottostante di regole che generano tutte e sole le strutture accettabili) non rivela nulla sul funzionamento di una lingua né è una causa intrinseca di come funzionano le lingue, al contrario è un epifenomeno che emerge come effetto secondario della percezione del linguista. 37 L’altra conseguenza è che se le lingue sono sistemi complessi, allora (come tutti i sistemi complessi) anche loro hanno come unico output la distruzione non lineare delle varianti linguistiche che continuamente emerge, a tutti i livelli di scala, da un immenso numero di interazioni tra parlanti. Tale distribuzione è presente in maniera diffusa nelle lingue al punto tale che, se di regole si deve parlare, allora l’unica regola presente è la cosiddetta 80/20 (anche legge di Zipf) secondo cui a ogni livello si trovano poche costruzioni che rendono conto della maggior parte delle istanze/occorrenze del tratto che si sta studiando (80%) e che c’è un grande numero di varianti di quella costruzione che rendono conto di una piccola minoranza di istanze/occorrenze (20%).38 C’è cioè una distribuzione non lineare delle varianti che, rappresentata in un grafico, forma una curva di tipo A. Di conseguenza non ci sono regole a priori né eccezioni, ma frequenze d’uso.39 Questa prospettiva ha profonde conseguenze anche nel modo in cui si descrive il mutamento linguistico. Data la differenza tra stato e processo, Si può descrivere il cambio come un passaggio da uno stato all’altro. In questo caso però non c’è un vero dinamismo, ma un sistema statico il cui mutamento è la successione lineare di stati diversi. La prospettiva dinamica descrive il mutamento come un processo continuo in cui le frequenze d’uso delle forme linguistiche si modificano all’interno di un sistema complesso di relazioni non lineari.40 Per conseguenza cambia anche il modo di concepire la grammaticalizzazione. Essa non è la selezione di alcune varianti che diventano grammaticali, ma il processo continuo per cui alcune varianti diventano più frequenti. C’è quindi un cambio della frequenza nella curva-A. Esso è un movimento continuo, contingente nel tempo, nello spazio e nelle circostanze, 41 che non consente di osservare la grammatica e non si traduce in categorie per nessuno stato di nessuna lingua.42 Alla base della dinamica di tale processo ci sono le interazioni individuali. W. Kretzschmark, The Linguistics, cit. Ibi, p. 184. 36 Ibi, pp. 47-55 distingue la linguistica del sistema dalla linguistica delle produzioni dei parlanti (linguistics of speech). 37 W. Kretzschmar, Language and complex, cit. p. 95. 38 Ibi p. 94. Nota anche come legge di Principio di Pareto, dal nome del matematico italiano che la scoprì e la esemplificò dicendo che l’80% del territorio italiano è posseduto dal 20% della popolazione. 39 «we can expect nonlinear distributions of variants for any linguistic features we are interested to follow». Ibi p. 78. 40 Ibi p. 75. 41 Ibi pp. 58-59. 42 Ibi p. 78. 34 35 Il modello di Kretzschmar si propone come una base possibile per una concezione unificata della mutevolezza linguistica, poiché riconduce a un’unica matrice le diverse forme della dinamica delle lingue. Per l’autore infatti il modo in cui il linguaggio si è evoluto è lo stesso in cui le lingue continuano a cambiare e lo stesso in cui le lingue continuano a essere acquisite dai nuovi parlanti: attraverso le interazioni dei parlanti.43 La teoria del mutamento linguistico può trovare spazio all’interno di una più ampia teoria della mutevolezza linguistica. Ma affinché ciò avvenga, è necessario che i linguisti della TC integrino nei loro modelli le migliori acquisizioni degli studi linguistici tradizionali. Resta da vedere in che modo ciò sia possibile. Verso l’integrazione tra le prospettive La mutevolezza linguistica è oggetto di dibattito da lungo periodo, per lo meno da duecento anni. A fronte di ciò, permane il disaccordo su argomenti centrali, quali la natura della spiegazione in linguistica diacronica, il ruolo della causation nel mutamento linguistico, le condizioni entro cui spiegazioni teleologiche sono accettabili, e se o no il modello deduttivo nomologico possa giocare un ruolo serio in tale argomento. Altra domanda che permane tutt’ora aperta è quale sia il rapporto tra diacronia e sincronia, in particolare se la diacronia dipenda dalla sincronia.44 Ciò che mi interessa capire è se la TC possa colmare i vuoti di conoscenza che ancora esistono. Per farlo, mi sono posto le seguenti domande guida: • • • La TC risponde a domande di ricerca ancora aperte? La TC dà risposte migliori a domande di ricerca che hanno ricevuto già una risposta ? La TC recepisce le acquisizioni che sono patrimonio comune e fornisce un quadro d’insieme migliore? La TC è presentata da coloro che ne fanno uso come un nuovo modo di pensare45, a volte come una rivoluzione.46 In ragione di ciò, mi interessa capire se davvero è così. Anticipo qui la risposta in una formulazione generica che sarà poi approfondita nel prosieguo. La TC porta una concezione nuova delle lingue e della loro dinamica e consente la ricerca interdisciplinare e transdisciplinare. D’altro canto si segnalano diversi punti che lasciano perplessi. Ciò che ho definito linguistica tradizionale riunisce teorie con profonde divergenze che riguardano sia la concezione di lingua (se sia un oggetto naturale o culturale) che di linguistica (se sia una scienza naturale o sociale), il metodo da usare (razionale o empirico), la teoria linguistica (se debba occuparsi di competenza o di performance). Tutte condividono però l’idea che esista una grammatica (intesa come unità di analisi e regole di combinazione di quelle unità) e una struttura (che si origina dall’applicazione delle regole di combinazione). Tale idea si presta poco a descrivere al meglio il carattere dinamico delle lingue che non è la successione lineare di stati discreti, ma un processo non lineare dispiegato nel tempo. La teoria generativista vede nella parametrizzazione la migliore risposta alla mutevolezza. Sebbene si tratti di un A. Burkette/W. Kretzschmar, Exploring Linguistic Science: Language Use, Complexity and Interaction, Cambridge University Press, Cambridge 2018, p.151. 44 R.W. Murray, Modern Theories of linguistic change: an overview, in S. Auroux et alii (a cura di), History of Language Sciences. An international Handbook on the evolution of the Study of Language from the Beginning to the Present, Walter De Gruyter, Berlin/New York 2006, pp. 2479- 2500). 45 D. Larseen Freeman, Foreword. Taking the Next Spot, in P. Hiver/A.Al-Hoorie, Research Methods, cit, p. vii. 46 J. Gleick, Chaos. La nascita di una nuova scienza, Rizzoli, Milano, 1998; D. Popolo, Complexity as an Epistemic Revolution: Considerations on the New Science in the Context of Western Intellectual History, «Worldviews, Sciences and Us» 2007, pp. 156-172. 43 formidabile sistema di descrizione delle lingue, la parametrizzazione fissa le lingue in uno stato (o successione di stati discreti) e per questo non è adatta a descrivere il dinamismo linguistico, né dal punto di vista della filogenesi né da quello della ontogenesi. C’è peraltro in questo modello una cesura forte tra evoluzione del linguaggio e mutamento linguistico. Resta importante l’enfasi sulla componente biologica che è alla base di ogni produzione linguistica. Gli approcci basati sull’uso e la sociolinguistica hanno il merito di proporre un quadro ampio degli elementi che contribuiscono alla mutevolezza: in particolare il contesto e l’uso da parte dei parlanti. L’idea di grammatica è per altro meno statica, tiene in conto la frequenza, e fa uso di unità di analisi (le costruzioni) che meglio si prestano a descrivere la mutevolezza. A fronte di ciò, anche in questi modelli la mutevolezza stessa tende a essere descritta come una successione di stati discreti. D’altro canto l’integrazione tra evoluzione del linguaggio e acquisizione di L1, nonché tra variazione linguistica in sincronia e mutamento linguistico in diacronia, va nella direzione auspicata di un modello integrato della mutevolezza linguistica. La TC è stata elaborata proprio per descrivere i processi e i sistemi instabili e in continuo movimento. Difatti la sua applicazione al language development è ampia e significativa. Non altrettanto si può dire per la mutevolezza linguistica. Ciononostante, la TC sembra essere la migliore candidata a descrivere e spiegare la mutevolezza linguistica, in quanto il focus è proprio sulla dinamica. Sembra per altro rispondere bene ai primi tentativi di applicazione. La lettura in chiave di distribuzione non lineare che Kretzschmar dà del mutamento linguistico è persuasiva e molto accattivante. Ma il costo da pagare sembra piuttosto alto. Nel modello di Kretzschmar si propone di rinunciare all’idea di sistema fatto di unità, gerarchicamente ordinate che è comunque il centro di molti modelli tradizionali. La distribuzione non lineare delle varianti diventa lo strumento per descrivere il carattere dinamico del processo linguistico, ricondotto alla frequenza di uso di varianti che sono tutte contemporaneamente presenti. Questo modello si presta molto bene a rendere il carattere processuale e complesso della produzione linguistica. Resta però da capire se l’applicazione della TC possa produrre un modello comprensivo della mutevolezza linguistica e se questo possa essere integrato in qualche modo nei modelli elaborati in ambito tradizionale. Allo stato attuale, la TC non è ancora in grado di rispondere alle domande aperte della ricerca sulla mutevolezza linguistica (domanda 1). Sebbene ci siano diversi gruppi di ricerca attivi in tutto il mondo e l’interesse verso la teoria cresca di giorno in giorno, restano infatti senza risposta molte domande relative al perché avvenga il mutamento linguistico. La TC presenta proposte interessanti su specifiche domande di ricerca (domanda 2), quali quelle relative alla relazione tra mutamento linguistico e lingua d’uso, sulla connessione tra frequenza d’uso e dinamiche di mutamento. Ma è molto lontana dal presentare una teoria completa della mutevolezza linguistica (domanda 3), cosa che manca al settore di studi nonostante alcuni tentativi in questa direzione.47 Né è al momento in grado di sintetizzare e recepire le acquisizioni conseguite in secoli di ricerca linguistica sull’argomento, dal momento che i fondamenti teorici sono spesso in contraddizione con quelli tradizionali. D’altro canto la TC ha enormi vantaggi per lo studioso che si interessa di lingue. Il primo è certamente il fatto che essa parla una lingua comune a diverse altre discipline. Il che significa che si possono superare per una volta i confini disciplinari e andare seriamente verso quella interdisciplinarietà, da tutti auspicata ma da pochi praticata. È proprio questa interdisciplinarietà che può 47 H. Anderson, Towards a Typology of Change: bifurcating changes and binary relations, in J. Anderson/ J. Charles, Historical Linguistics, North Holland Publ. Co., Amsterdam 1974, vol II, pp. 1760. consentire agli studiosi della complessità di dare migliori risposte a domande di ricerca cui colleghi di diversa ispirazione hanno già risposto. L’analisi fin qui condotta e i risultati presentati hanno un elemento di parzialità. Ho esaminato solo alcuni lavori, sia in ambito tradizionale che in quello della complessità. Ciò induce a pensare che i risultati siano altrettanto parziali. In ragione di ciò, un’analisi più ampia si rende necessaria con un numero più significativo di fonti dalle quali si possano ricavare elementi più probanti. Conclusione La storia della linguistica è caratterizzata dalla profonda spaccatura tra modelli formalisti e modelli funzionalisti. È una separazione che si origina nella visione e si riverbera nelle procedure di ricerca spesso inconciliabili. Eppure essa giova poco alla disciplina, in quanto impedisce ai linguisti di unire le forze per affrontare le difficoltà che il loro oggetto di studio presenta. Una di queste si erge su tutte. È la mutevolezza. Si può metaforicamente immaginare una lingua (ogni lingua) come un fiume immenso che accoglie le acque di altri fiumi, si gonfia, si moltiplica in mille altri piccoli fiumi, prima di sfociare nel mare. A volte scorre placido, uguale a se stesso. A volte scorre impetuoso, imprevedibile, supera ostacoli, modifica se stesso e il territorio. Questo movimento continuo è l’identità non eliminabile del fiume, come lo è delle lingue (e di ogni altra cosa su questa terra). La mutevolezza linguistica rimane il punto di non ritorno per ogni teoria linguistica che ambisca ad essere comprensiva. Ritengo ancora valide le parole di Martinet: The problem of causes of […] change would remain one of the central problems of linguistic sciences even if we should refuse to consider linguistics as an historical discpline, because we shall not fully know what language is and how it works before we have determinate why languages change.48 Nel variegato mondo della linguistica contemporanea, la Teoria della Complessità si presenta come il candidato ideale per affrontare questa grande sfida. È infatti pensata per studiare i sistemi dinamici naturali e può essere anche usata come metateoria in grado di sintetizzare le migliori acquisizioni dei diversi ambiti in cui è divisa la disciplina.49 C’è però un rischio che i linguisti della complessità diventino a loro volta un gruppo chiuso e che la linguistica della complessità diventi uno dei tanti prodotti in vendita nel marketplace della linguistica.50 Affinché ciò non accada, è necessario che i linguisti della complessità parlino più possibile con gli altri linguisti. 48 A. Martinet, Function, Structure, cit. p. 2. «Il problema della cause del mutamento rimarrebbe uno dei problemi centrali delle scienze linguistiche, anche se noi rifiutassimo di considerare la linguistica una disciplina storica, poiché noi non sapremo pienamente cosa è una lingua e come funziona se prima non avremo determinato perché le lingue cambino.» 49 D. Larsen- Freeman, Complexity Theory: The Lessons Continue, in L. Ortega/Z. Han, Research Methods, cit., pp. 11-50. 50 W. Kretzschmar, The Linguistics, cit., p. 13.

References (34)

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  2. J.H. Hurford, Evolutionary Theories of Language: Current Theories, in R.E. Asher (a cura di), Encyclopedia of Language and Linguistics, Elsevier, Amesterdam, 2006, Volume IV, pp. 361-369.
  3. 9 Per un'introduzione tecnica alla teoria, cfr. C.S. Bertuglia/F. Vaio, Complessità e modelli, Bollati Boringhieri, Torino, 2011. D'ora in avanti utilizzerò la sigla TC per riferirmi alla teoria della complessità.
  4. P.M. Bertinetto, Adeguate imperfezioni, Sellerio, Palermo 2009.
  5. Cfr. per esempio la famosa teoria del "Buco vuoto" di A. Martinet, Function, Structure and Sound Change, in «Word» 8/1 (1952), secondo cui se si crea un vuoto in una parte del sistema, tutto il resto reagirà per occupare quello spazio.
  6. R. Antilla, Historical and comparative Linguistics, J. Benjamins, Amsterdam & Philadelphia 1989 pp. 392-393.
  7. C. Boeckx (a cura di), The Oxford Handbook of Linguistic Minimalism, Oxford University Press, Oxford, 2011.
  8. La grammatica universale è detta anche E-language o Language Acquisition Device.
  9. Altra domanda che attende risposta è perché il baby talk che i bambini sviluppano nell'acquisizione di L1 non venga mai regolarizzato negli sviluppi successivi.
  10. W. Croft, Explaining Language Change. An evolutionary Approach, Pearson Education, Harlow 2000, p. 4.
  11. I più recenti modelli basati sull'uso rientrano negli approcci funzionalisti.
  12. W. Labov, Principles of Linguistic Change: Internal Factors, Basil Blackwell, Oxford 1994.
  13. Si parla non a caso di teoria della mano invisibile, cfr. R. Keller, On Language Change:The invisible hand in Language, Routledge, London & New York 1994 [1990].
  14. M. Tomasello, Constructing a language, Harvard University Press, Cambridge, MA 2003.
  15. P. Hopper, Emergent Grammar, in «Berkeley Linguistic Society» 13 (1987), pp. 139-157.
  16. Ibi, p. 140, (traduzione del testo inglese a cura di chi scrive).
  17. J. Bybee, Phonology and language use, Cambridge University Press, Cambridge MA, 2001.
  18. J. Bybee, Frequency of use and the organization of Language, Oxford University Press, Oxford/New York 2007.
  19. J. Bybee, Language, use and cognition, Cambridge University Press, Cambridge 2010.
  20. N. Ellis/D. Larsen Freeman (a cura di), Language as Complex Adaptative System, Wiley Balckwell, Oxford 2009.
  21. R. Lass, Historical Linguistics and Language Change, Cambridge University Press, Cambridge, 1997.
  22. P. Hiver/ A.Al-Hoorie, Research Methods for Complexity Theory in Applied Linguistics, Multilingual Matters, Bristol 2020; F. La Mantia/I. Licata/P. Perconti (a cura di), Language in Complexity: The Emerging Meaning, Springer, Berlino 2018.
  23. M. Verspoor/K. de Boot/ W. Lowie, A Dynamic Approach to Second Language Development, Benjamins, Amsterdam/Philadelphia 2011.
  24. Cfr. Ellis/Larsen Freeman, cit. Sulla questione, v. K. de Bot, Complexity Theory and Dynamic Systems Theory: Same or different? in L. Ortega/Z. Han, Complexity Theory and Language Development, Benjamins, Amsterdam/Philadelphia, 2018, pp. 51-58
  25. W. Kretzschmark, The Linguistics, cit.
  26. Ibi, p. 184.
  27. Ibi, pp. 47-55 distingue la linguistica del sistema dalla linguistica delle produzioni dei parlanti (linguistics of speech).
  28. W. Kretzschmar, Language and complex, cit. p. 95.
  29. Ibi p. 94. Nota anche come legge di Principio di Pareto, dal nome del matematico italiano che la scoprì e la esemplificò dicendo che l'80% del territorio italiano è posseduto dal 20% della popolazione.
  30. «we can expect nonlinear distributions of variants for any linguistic features we are interested to follow». Ibi p. 78. 40 Ibi p. 75. 41 Ibi pp. 58-59.
  31. A. Burkette/W. Kretzschmar, Exploring Linguistic Science: Language Use, Complexity and Interaction, Cambridge University Press, Cambridge 2018, p.151.
  32. R.W. Murray, Modern Theories of linguistic change: an overview, in S. Auroux et alii (a cura di), History of Language Sciences. An international Handbook on the evolution of the Study of Language from the Beginning to the Present, Walter De Gruyter, Berlin/New York 2006, pp. 2479-2500).
  33. D. Larseen Freeman, Foreword. Taking the Next Spot, in P. Hiver/A.Al-Hoorie, Research Methods, cit, p. vii.
  34. J. Gleick, Chaos. La nascita di una nuova scienza, Rizzoli, Milano, 1998; D. Popolo, Complexity as an Epistemic Revolution: Considerations on the New Science in the Context of Western Intellectual History, «Worldviews, Sciences and Us» 2007, pp. 156-172.