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Deinotherium

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Deinotherium
Calco dello scheletro di D. giganteum al Museo di Storia, Archeologia e Paleontologia di Azov
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineProboscidea
Famiglia†Deinotheriidae
Sottofamiglia†Deinotheriinae
GenereDeinotherium
Kaup, 1829
Nomenclatura binomiale
†Deinotherium giganteum
Kaup, 1829
Specie
  • D. bozasi (Arambourg, 1934)
  • D. giganteum (Kaup, 1829)
  • D. indicum (Falconer, 1845)
  • D.? levius (Jourdan, 1861)
  • D.? proavum (Eichwald, 1831)

Deinotherium (il cui nome significa "bestia terribile") è un genere estinto di grandi mammiferi proboscidati simili ad elefanti apparsi nel Miocene medio (circa 15 milioni di anni fa) e sopravvissuti fino al Pleistocene inferiore, circa 1 milione di anni fa. Sebbene somigliassero superficialmente agli elefanti odierni, con i quali erano imparentati, avevano colli notevolmente più flessibili, arti adattati a uno stile di vita più cursorio e zanne che si curvavano verso il basso. Inoltre le loro zanne non emergevano dalla mascella come negli elefanti odierni ma dalla mandibola. Deinotherium aveva un areale molto vasto, con diverse specie rinvenute dall'Africa orientale all'Europa meridionale, fino al subcontinente indiano. Deinotherium era un erbivoro brucatore con una dieta composta principalmente da foglie. Questi animali, molto probabilmente, si estinsero quando le aree boschive furono gradualmente sostituite da praterie aperte durante la seconda metà del Neogene.

Storia e denominazione

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I primi scienziati che studiarono i resti di Deinotherium ipotizzarono che potessero appartenere a una specie estinta di tapiro (a sinistra) o di sirenia (a destra)

Il genere Deinotherium ha una lunga storia, forse risalente al XVII secolo, quando un chirurgo francese di nome Matsorier trovò le ossa di un grande animale in un'area conosciuta come il "campo dei giganti" vicino a Lione. Si dice che Matsorier espose queste ossa in Francia e in Germania come presunte ossa di un monarca francese, finché le ossa furono consegnate al Museo nazionale di storia naturale di Francia.[1] Nel 1775 i ricercatori riconobbero le ossa come appartenenti a un animale "simile a un mammut". Durante la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, Georges Cuvier ipotizzò che in realtà le ossa appartenessero a un grande tapiro con zanne ricurve verso l'alto che chiamò Tapir gigantesque.[2] Un'altra ipotesi iniziale suggeriva che Deinotherium fosse un sireno, come i lamantini, che usava le sue zanne per ancorarsi al fondale marino mentre dormiva.[3]

Il genere Deinotherium fu coniato nel 1829 da Johann Jakob Kaup per descrivere un cranio e una mandibola fossili scoperti in Germania. All'epoca si pensava che l'esemplare tipo, D. giganteum, fosse un collegamento evolutivo tra bradipi e mastodonti.[1] Ulteriori resti furono scoperti e denominati, compresi molti che in seguito sarebbero stati attribuiti al genere Prodeinotherium. Questi resti aggiuntivi contribuirono anche a consolidare la posizione di Deinotherium all'interno dei Proboscidea, mentre i reperti scoperti in India, descritti come D. indicum, estesero la portata del genere al di fuori dell'Europa. I fossili di un esemplare eccezionalmente grande trovato a Manzati, in Romania, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, furono descritti come una terza specie, D. gigantissimum. In Bulgaria sono stati trovati resti di Deinotherium dal 1897 in poi, con un esemplare di un animale quasi completo trovato nel 1965. Questi resti sono stati ufficialmente descritti nel 2006 come D. thraceiensis, rendendolo la specie denominata più recentemente.[1]

Il nome Deinotherium deriva dal greco antico δεινός/deinos che significa "terribile" e θηρίον/therion che significa "bestia". Alcuni autori hanno occasionalmente fatto riferimento a Deinotherium come Dinotherium, in seguito alla latinizzazione del primo elemento del nome. Sebbene la pronuncia rimanga invariata, Deinotherium rimane l'ortografia valida in quanto fu coniata per prima.[4]

Illustrazioni scheletriche di D. "thraceiensis", due esemplari di D. giganteum, e D. proavum (da sinistra a destra)

Deinotherium era un proboscidato di grandi dimensioni che mostra una crescita continua tra le specie. Due maschi adulti di D. giganteum raggiungevano un'altezza al garrese di circa 3,63–4,0 metri, per un peso di 8,8–12 tonnellate. Queste dimensioni sono simile a quelle dei maschi adulti di D. proavum, uno dei quali pesava 10,3 tonnellate ed era alto 3,59 metri al garrese. Si stima che i maschi e le femmine di D. proavum avessero un'altezza al garrese media di 3,65 metri e un peso di 10,5 tonnellate. Tuttavia, entrambe queste specie sono più piccole di un maschio di 45 anni di D. "thraceiensis", con un'altezza al garrese di 4,01 metri e un peso di 13,2 tonnellate.[5] L'anatomia generale di Deinotherium è simile a quella degli elefanti moderni con arti colonnari, sebbene proporzionalmente più lunghi e più snelli di quelli di altri proboscidati. Le ossa delle dita dei piedi sono più lunghe e meno robuste rispetto a quelle degli elefanti[6] e anche il collo differisce notevolmente in quanto è relativamente più lungo e flessibile, ma comunque piuttosto corto rispetto ad altri brucatori moderni, come le giraffe.

Ricostruzione di due specie di Deinotherium, basate sul confronto di dimensioni e forma dei moderni elefanti: D. bozasi (a sinistra) e D. giganteum (a destra)

La specie D. giganteum presentava una sostituzione verticale dei denti posteriori. Erano presenti due serie di denti bilofodonti e trilofodonti. I molari e i premolari posteriori erano denti da taglio verticali e suggeriscono che i deinotherii divennero un ramo evolutivo indipendente dei proboscidati molto presto; gli altri premolari servivano per la frantumazione. Il cranio era corto, basso e appiattito nella parte superiore, in contrasto con i proboscidati più avanzati, che hanno una fronte più alta e a cupola, con condili occipitali molto grandi ed elevati. I crani più grandi di Deinotherium raggiungevano una lunghezza di 120–130 centimetri. L'apertura nasale era retratta e larga, indicando una grande proboscide. Il rostro era lungo e la fossa rostrale ampia. Le sinfisi mandibolari erano molto lunghe e ricurve verso il basso, il che, insieme alle zanne ricurve all'indietro, è una caratteristica distintiva del gruppo.[7]

Denti di Deinotherium

Le zanne sono senza dubbio la caratteristica più importante di Deinotherium. A differenza dei moderni proboscidati, le cui zanne non sono altro che degli incisivi superiori ipersviluppati, le zanne di Deinotherium rappresentano i suoi incisivi inferiori, mancando totalmente di incisivi superiori e canini superiori e inferiori. La curvatura è inizialmente formata dalla mandibola stessa, con i denti stessi che spuntano solo a metà della curva. Il grado in cui le zanne seguono la direzione predeterminata dalla mandibola varia tra gli esemplari, con alcune zanne che seguono la curva e puntano all'indietro, vanno a formare una forma quasi semicircolare, mentre in altri esemplari le zanne continuano verso il basso quasi verticalmente. Le zanne hanno una sezione trasversale approssimativamente ovale e potevano raggiungere una lunghezza di 1,4 metri.[8][9]

Sebbene la presenza di una proboscide simile a quella dei moderni elefanti in Deinotherium sia evidente grazie alle dimensioni e alla forma delle narici esterne, l'esatta forma e dimensione della proboscide è ancora incerta. Le raffigurazioni storiche ritraggono l'animale con un aspetto molto elefantino, con una lunga proboscide e zanne che eruttano dal mento. All'inizio degli anni 2000, Markov e colleghi pubblicarono degli articoli sui tessuti molli facciali di Deinotherium contestando queste idee, suggerendo invece una ricostruzione alternativa dei tessuti molli. Nella prima di queste pubblicazioni gli autori sostengono che, a causa dell'origine delle zanne di questi animali, il labbro inferiore doveva trovarsi al di sotto di esse, man mano che le zanne svilupparono il loro caratteristico aspetto rivolto verso il basso. Suggerirono inoltre che, sebbene fosse presente una proboscide, probabilmente non assomigliava a quella degli elefanti moderni e sarebbe stata invece più corta ma più robusta e muscolosa, cosa che secondo loro è evidenziata dalla mancanza di una superficie di inserimento adeguata.[3][10] Sebbene ricerche successive concordino sul fatto che la proboscide di Deinotherium fosse probabilmente notevolmente diverso da quelli dei moderni proboscidati, l'idea di una proboscide corta simile a quella di un tapiro è messa in discussione. In particolare si sottolinea che l'alta statura ed il collo ancora relativamente corto di Deinotherium renderebbero molto difficile per l'animale bere senza assumere una postura più complessa. Pertanto si suggerisce che la proboscide dovesse essere almeno abbastanza lunga da consentire all'animale di bere efficacemente.[11]

Modello museale di Deinotherium giganteum al Museo di storia naturale di Magonza

Nel corso della lunga storia della ricerca sui deinotheriidi, 31 specie sono state descritte e assegnate alla famiglia, molte sulla base di materiale scarsamente campionato, in particolare denti di varie dimensioni.[4] La quantità di specie riconosciute dagli autori varia a seconda dei ricercatori, ma le tre specie più comunemente considerate valide sono elencate di seguito.

D. bozasi
Conosciuto dall'Africa orientale,[12] Deinotherium bozasi è la specie conosciuta più recente di Deinotherium, sopravvissuta nella Formazione Kanjera, in Kenya, fino al Pleistocene inferiore, circa 1 milione di anni fa. È caratterizzato da una depressione rostrale più stretta, un'apertura nasale più piccola ma più alta, un cranio più alto e stretto e una sinfisi mandibolare più corta rispetto alle altre due specie. In una pubblicazione del 2013 Martin Pickford osservò come in D. bozasi la mandibola sia anatomicamente simile a quella di D. proavum, tuttavia la maggior parte degli esemplari sono più piccoli di quelli delle specie europee. Per spiegare ciò, vennero suggerite due ipotesi: una in cui condividevano un antenato comune, e l'altra in cui D. bozasi possa essere un esempio della regola di Allen, che afferma che gli animali a latitudini più basse siano tipicamente più piccoli dei parenti a latitudini più elevate.[13] Tuttavia Markov e colleghi suggeriscono che la simile anatomia mandibolare potrebbe essere un caso di evoluzione parallela tra le specie europee e D. bozasi in risposta all'aridificazione del loro ambiente e ad una maggiore necessità di una masticazione efficace.[10]
D. giganteum
La specie tipo, D. giganteum visse tra dal Miocene medio al Pliocene inferiore, in Europa. Tuttavia, l'esatta data per l'estinzione di D. giganteum in Europa è sconosciuta. Le ultime occorrenze conosciute nell'Europa centrale e occidentale sembrano essere nel MN13 (dal Messiniano allo Zancleano), mentre del materiale proveniente dalla Russia potrebbe estendere l'areale della specie al MN15 (Rusciniano). Fossili di D. giganteum sono stati rinvenuti anche sull'isola di Creta nella Formazione Faneroméni del Miocene superiore, in un periodo in cui l'isola era ancora collegata alla terraferma.[14]
D. indicum[15]
La specie asiatica, D. indicum, si distingue per una dentatura più robusta e tubercoli intravalli p4-m3, ed è stato rinvenuto in tutto il subcontinente indiano (India e Pakistan) durante il Miocene medio e superiore. Scomparve dalla documentazione fossile circa 7 milioni di anni fa (Miocene superiore). Sebbene sia generalmente considerato valido, alcuni ricercatori sostengono che sia sinonimo di D. proavum e che il nome successivo avrebbe la precedenza. Pickford, ad esempio, sostiene che i fossili provenienti dall’Iran creino un collegamento geografico tra le popolazioni europee e gli esemplari indiani, concludendo che potrebbero trattarsi di un'unica specie con ampio areale geografico.[13]

Un'ipotesi che si oppone a questo modello a tre specie suggerisce che, invece di essere un'unica specie coerente durata tutto il Miocene, D. giganteum rappresenta in realtà più cronospecie, con la specie tipo che si applica solo alla forma intermedia.

Altre specie che sono state descritte includono:

D. levius (Jourdan, 1861)
D. levius è una specie europea di Deinotherium recuperata da sedimenti risalenti al tardo Astaraciano fino all'Aragona. Sebbene alcuni ricercatori lo considerino un sinonimo di D. giganteum, altri propongono che si tratti di una cronospecie stratigraficamente distinta e la specie europea più antica di Deinotherium. Secondo questa ipotesi, D. levius avrebbe dato origine a D. giganteum nello stadio Vallesiano del Miocene,[16] dopo di che le due specie continuarono a coesistere fino all'estinzione della prima.[7]
D. proavum (Eichwald, 1831)[17]
D. proavum è una specie di grandi dimensioni che potrebbe essere un sinonimo junior di Deinotherium giganteum. Altre ricerche nel frattempo suggeriscono che, insieme a D. giganteum e D. levius, faccia parte di un unico lignaggio anagenetico delle specie di Deinotherium. Per questa ipotesi è stato suggerito che D. proavum si sia evoluto da D. giganteum durante il tardo Vallesion a Turolian, con i primi membri della specie ancora di dimensioni simili al suo antenato prima di superarlo in dimensioni successivamente. Tuttavia, l'assegnazione degli esemplari a D. proavum è in gran parte basata sulla stratigrafia e sulle dimensioni, rendendo difficile la differenziazione tra le specie, soprattutto con alcune ricerche che suggeriscono che le due specie continuarono a coesistere.
Cranio di D. giganteum
D. gigantissimus[18]
D. gigantissimus proveniente dalla Romania è generalmente considerato un esemplare di grandi dimensioni appartenente a D. giganteum[15] o a D. proavum[7] (a seconda di quante specie sono riconosciute dal rispettivo autore). La situazione è simile per D. thraceiensis[1] della Bulgaria, un altro deinotheriide di notevoli dimensioni, descritto nel 2006 ma solitamente inserito in altre specie europee dalle pubblicazioni successive.[7] Lo stato delle specie asiatiche è particolarmente complesso, con una moltitudine di esemplari descritti da resti frammentari o insufficienti. Questi includono D. sindiense (Lydekker, 1880), D. orlovii (Sahni e Tripathi, 1957), D. naricum (Pilgrim, 1908) e D. anguistidens (Koch 1845), tutti considerati generalmente dubbi dalle pubblicazioni del 21º secolo.[15][16][19] È stata descritta solo un'altra specie africana, D. hopwoodi (Osborn, 1936), basata su dei denti rinvenuti nel bacino dell'Omo in Etiopia. Tuttavia la sua ricerca è stata pubblicata postuma ed è stata preceduta da D. bozasi, descritto due anni prima.[12]

Un'altra questione che complica la quantità di specie di Deinotherium riconosciute dalla scienza è lo stato del genere Prodeinotherium. Una teoria prevalente è che Prodeinotherium sia un genere distinto ancestrale a Deinotherium. Altri ricercatori, tuttavia, sostengono che le differenze anatomiche, in particolare la differenza di dimensioni, non siano sufficienti per distinguere correttamente i due, il che renderebbe invece le specie di Prodeinotherium parte del genere Deinotherium. Ciò creerebbe le combinazioni D. bavaricum, D. cuvieri (entrambi europei), D. hobleyi (Africa), P. pentapotamiae e forse D. sinense (Asia).[2][19][20]

Deinotherium era un genere molto diffuso, presente in vaste aree dell'Africa orientale, dell'Europa, della penisola arabica e dell'Asia meridionale e orientale. In Europa, i fossili sono particolarmente comuni nel sud-est, con circa la metà degli esemplari conosciuti nella regione originari della Bulgaria. Esemplari particolarmente significativi includono quelli trovati a Ezerovo, provincia di Plovdiv (esemplare tipo di D. thraceiensis) e vicino a Varna.[1][18] Anche in Romania sono stati rinvenuti resti significativi, tra cui un esemplare particolarmente grande trovato da Grigoriu Ștefănescu vicino a Mânzați (esemplare tipo di D. gigantissimum). I fossili delle due specie ormai, non valide, sono esposti rispettivamente al Museo Nazionale di Storia Naturale, Bulgaria e al Museo nazionale di storia naturale "Grigore Antipa". Numerosi esemplari sono stati rinvenuti anche in Grecia e persino sull'isola di Creta, indicando che l'animale fosse migrato attraverso dei potenziali ponti di terra o che fosse arrivato sulle isole a nuoto. Adrienne Mayor, nel libro The First Fossil Hunters: Paleontology In Greek and Roman Times, ha ipotizzato che il ritrovamento di crani di deinotherii in Grecia abbia contribuito all'origine del mito dei giganti. Verso est, Deinotherium è noto grazie a ritrovamenti in Russia (Rostov sul Don), Georgia e Turchia.[16] L'areale di Deinotherium si estende inoltre al Medio Oriente, con l'olotipo di D. indicum rinvenuto sull'isola di Perim (Yemen)[13] nel Mar Rosso. Sono conosciuti anche fossili provenienti dall'Iran[13] e da numerose località del subcontinente indiano come le colline di Siwalik.[19][21] La zona più orientale del genere sembra trovarsi nella provincia di Gansu, nella Cina nordoccidentale.[20] L'areale occidentale di Deinotherium si estende su gran parte dell'Europa centrale e occidentale, compresa l'Ungheria, la Repubblica Ceca (Františkovy Lázně), l'Austria[22] (località Gratkorn), la Svizzera[7] (Monti del Giura), la Francia ("Campo dei Giganti"), Portogallo[2], Spagna e Germania. Alcuni dei ritrovamenti più antichi e significativi in Germania sono stati effettuati nella Dinotheriensande (Formazione Eppelsheim) del bacino di Magonza, così chiamata per la grande abbondanza di resti deinotherii. L'esemplare olotipo di Deintherium, descritto da Kaup all'inizio del 1800, proviene da questa parte d'Europa. Al di fuori dell'Eurasia, la specie Deinotherium bozasi è stata rinvenuta nell'Africa orientale, con esemplari conosciuti nella gola di Olduvai in Tanzania, nel bacino dell'Omo e nel Medio Awash dell'Etiopia, e in numerose località del Kenya. Resti di D. bozasi sono stati trovati anche nei letti Chemoigut keniani intorno al lago Baringo, così come nella formazione Kubi Algi e nella formazione Koobi Fora a East Rudolf. Un dente aggiuntivo è noto da Sahabi, in Libia, ed è possibile che sia Deinotherium che Prodeinotherium coesistessero nella formazione keniota di Ngorora.[12]

Calco dello scheletro dell'antenato di Deinotherium, Prodeinotherium

L'origine dei deinotherii può essere rintracciata all'Oligocene africano con il genere Chilgatherium, un animale dalle dimensioni modeste. Questi proboscidati rappresentano una linea evolutiva totalmente distinta da quella degli altri elefanti, differenziandosi, probabilmente, all'inizio della storia evolutiva dei proboscidati. Inizialmente limitato all'Africa, il continuo movimento verso nord della placca africana alla fine causò il Proboscidean Datum Event,[23] evento durante il quale i proboscidati si diversificarono e si diffusero in Eurasia, tra cui l'ancestrale Prodeinotherium, ritenuto il diretto antenato del ben più grande Deinotherium. In generale, Deinotherium mostra relativamente pochi cambiamenti nella sua morfologia durante la sua evoluzione, se non un costante aumento delle dimensioni corporee, da 2 metri di altezza al garrese in Prodeinotherium fino ai 4 metri raggiunti nelle specie successive di Deinotherium e una massa che supera di gran lunga anche quella dei più grandi elefanti africani. Si ritiene che le ragioni di questo rapido aumento delle dimensioni corporee abbiano avuto molteplici fattori: da un lato, l’aumento delle dimensioni è un efficace deterrente contro i predatori, soprattutto durante il Miocene, quando i carnivori avevano raggiunto una grande diversità, tra cui hyenodonti, anficionidi e grandi felini. In secondo luogo, la continua aridificazione durante il Miocene frazionò sempre di più i boschi, con maggiori distanze di paesaggio aperto che si estendono tra le fonti di cibo per i grandi brucatori come Deinotherium. Ciò spiega anche gli adattamenti morfologici cursori osservati negli arti del Deinotherium, più adatti ad attraversare lunghe distanze. Inoltre, la comparsa di Deinotherium coincise con il calo delle temperature durante il Miocene medio. Secondo la regola di Bergmann, queste circostanze favoriscono l'aumento della massa corporea per il mantenimento del calore in temperature fredde. Nonostante i numerosi adattamenti chiave sviluppati dai deinotherii per un'alimentazione efficace, la continua aridificazione che progredì durante tutto il Miocene alla fine portò all'estinzione del gruppo, che non riuscì a sopravvivere senza fonti di cibo prontamente disponibili corrispondenti alla loro dieta. Le popolazioni dell’Europa occidentale furono le prime a scomparire, seguite successivamente da quelle dell’Europa orientale.[4][7] Mentre i lignaggi europei si estinsero con l'inizio del Pliocene, il genere riuscì a sopravvivere notevolmente più a lungo nel suo areale africano, con i resti di Deinotherium più recenti, assegnati a D. bozasi, rinvenuti in sedimenti risalenti al Pleistocene, circa 1 milione di anni fa.

Sirenia

Proboscidea

Eritherium

Numidotherium

Barytherium

Deinotheriidae

Elephantiformes

Phiomia

Elephantoidea

Mammut

Gomphotherium

Elephantidae

Paleoecologia

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Illustrazione storica di Deinotherium, di Heinrich Harder

Diversi adattamenti chiave suggeriscono che Deinotherium fosse un proboscidato folivoro che preferiva gli habitat boschivi aperti e si nutriva delle foglie delle chiome degli alberi. In Asia, D. indicum è stato associato a boschi umidi, caldi e a basso consumo energetico[21] e in Portogallo resti di deinotheriidi sono stati ritrovati in regioni corrispondenti a condizioni boschive umide, da tropicali a subtropicali paragonati al moderno Senegal.[2] Lo stile di vita da brucatore di alta vegetazione è anche supportato dall'inclinazione dell'occipite che conferisce a Deinotherium una postura della testa leggermente più sollevata, e dai loro denti, che ricordano fortemente quelli dei moderni tapiri, animali che si nutrono prevalentemente di frutti, fiori, corteccia e foglie. I loro arti mostrano alcune notevoli differenze rispetto a Prodeinotherium, consentendo una modalità di locomozione più agile e consentendo di percorrere più facilmente grandi distanze in aree aperte alla ricerca di cibo, che coincide con la diffusa disgregazione delle foreste e l'espansione delle praterie durante il periodo in cui Deinotherium visse in Europa. Reperti fossili provenienti dalla località austriaca di Gratkorn[22] e dal bacino di Magonza in Germania indicano che Deinotherium non fosse un residente permanente. In Austria è stato suggerito che questi animali attraversassero queste aree su base regolare, mentre in Germania ci sono prove che l'areale di questi animali si spostasse al variare delle condizioni climatiche, presenti durante le condizioni climatiche subtropicali e assenti in condizioni sub-boreali, indicando uno stile di vita migratorio stagionale.[13]

Una delle caratteristiche più enigmatiche di Deinotherium sono le loro curiose zanne rivolte verso il basso e la loro funzione. Le ricerche condotte su Deinotherium suggeriscono che queste zanne probabilmente non erano usate per scavare, né sono sessualmente dimorfiche, lasciando il loro utilizzo per l'alimentazione come la loro funzione più probabile. Queste zanne mostrano segni di usura, in particolare sui lati mediale e caudale. In un articolo del 2001, Markov e colleghi sostennero che Deinotherium avrebbe potuto usare le sue zanne per rimuovere i rami che avrebbero ostacolato l'alimentazione, mentre usava la proboscide per trasportare il fogliame alla bocca. Da lì Deinotherium avrebbe usato la sua potente lingua (dedotta sulla base di un notevole solco nella parte anteriore della sinfisi) per manipolare ulteriormente il suo cibo. La diversa anatomia delle zanne negli individui giovani suggerirebbe strategie di alimentazione alterate nei giovani.[3]

Nella cultura di massa

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Questo animale è apparso nel film cecoslovacco Viaggio nella preistoria (1955) dove viene ricreato in stop-motion utilizzando una combinazione di immagini 2-D e modelli 3D. Appare anche nel documentario della BBC I predatori della preistoria nell'episodio La preda, in piedi, si ribella, dove viene ritratta la specie D. bozasi come un animale molto aggressivo che condivise il suo areale con Australopithecus;

Galleria d'immagini

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  1. ^ a b c d e Dimitar Kovachev e Ivan Nikolov, Deinotherium thraceiensis sp. nov. from the Miocene near Ezerovo, Plovdiv District (PDF), in Geologica Balcanica, vol. 35, 3–4, 2006, pp. 5–40, DOI:10.52321/GeolBalc.35.3-4.5.
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