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Il Verismo

Il Verismo è una corrente letteraria italiana dell'Ottocento che si ispira al Naturalismo francese, ma si concentra sulla denuncia della realtà sociale, in particolare delle classi povere del Sud Italia. Giovanni Verga, figura centrale del Verismo, utilizza un linguaggio semplice e una narrazione impersonale per rappresentare la vita dei 'vinti', evidenziando la lotta per la sopravvivenza e il pessimismo riguardo alla condizione umana. Le sue opere più significative, come 'I Malavoglia' e 'Rosso Malpelo', esplorano le ingiustizie sociali e il destino ineluttabile dei personaggi.
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Il Verismo

Il Verismo è una corrente letteraria italiana dell'Ottocento che si ispira al Naturalismo francese, ma si concentra sulla denuncia della realtà sociale, in particolare delle classi povere del Sud Italia. Giovanni Verga, figura centrale del Verismo, utilizza un linguaggio semplice e una narrazione impersonale per rappresentare la vita dei 'vinti', evidenziando la lotta per la sopravvivenza e il pessimismo riguardo alla condizione umana. Le sue opere più significative, come 'I Malavoglia' e 'Rosso Malpelo', esplorano le ingiustizie sociali e il destino ineluttabile dei personaggi.
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IL VERISMO

: Il Verismo è una corrente letteraria che nasce in Italia nella seconda metà dell’Ottocento,
ispirata dal Naturalismo francese e dalla Scapigliatura (un movimento italiano ribelle e
anticonformista).
Come i naturalisti francesi, i veristi vogliono raccontare la vita delle classi più povere e
disagiate, ma con caratteristiche proprie e legate alla realtà italiana.

: Differenze con il Naturalismo francese


• In Francia, gli scrittori naturalisti credono che la letteratura possa aiutare a migliorare
la società.
• In Italia, i veristi non credono che la letteratura possa cambiare la realtà, ma pensano
che debba denunciarla, mostrando i problemi della società, in particolare quelli del Sud Italia
(quasi tutti gli autori veristi sono meridionali).
• I veristi si concentrano soprattutto sul mondo agricolo e sulle ingiustizie sociali delle
regioni del Sud.

La narrativa verista si distingue per un nuovo metodo di narrazione:


• Si parla di impersonalità, cioè l’autore non giudica i personaggi e non guida il lettore.
• Mentre nel Romanticismo c’era il narratore onnisciente (che spiegava tutto e dava
giudizi), i veristi vogliono essere più oggettivi e neutrali.
• Usano una lingua vicina a quella parlata dal popolo, per rendere tutto più realistico e
fedele alla realtà.

GIOVANNI VERGA
LA VITA
Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840 in una ricca famiglia di proprietari terrieri.
Abbandona gli studi universitari per fare lo scrittore: non studia però i classici italiani e latini
ma preferisce i romanzi popolari francesi del suo tempo con le loro storie di intrighi o
d'amore. Queste letture, con l'interesse per il romanzo storico italiano, influenzano i suoi
primi scritti, che hanno come tema storie di amore e patriottismo. Nel 1865 si trasferisce a
Firenze, per alcuni anni capitale d'Italia: qui conosce numerosi intellettuali tra cui lo scrittore
catanese Luigi Capuana, con cui stringe un lungo rapporto di amicizia e collaborazione.
Nel corso della sua vita ha pubblicato tante opere come per esempio il racconto di Rosso
Malpelo le novelle Vita dei Campi e Novelle rusticane il romanzo I Malavoglia e Mastro- Don
Gesualdo.

LA POETICA
Lo scrittore usa un linguaggio semplice ed essenziale, che intende riprodurre il modo di
pensare e raccontare della gente del popolo; Verga, pertanto, rinuncia a presentare al
lettore il proprio punto di vista sulla vicenda, ma mantiene una rigorosa impersonalità. Questi
elementi di novità fanno per esempio di Rosso Malpelo la prima opera del Verismo.
la tecnica di Verga consiste nell’abbandonare il suo punto di vista di intellettuale borghese e
adottare quello dei personaggi del mondo che descrive
lui pensa che la letteratura debba rappresentare la realtà in modo oggettivo e documentato,
senza interventi personali dell’autore. Questo significa che lo scrittore non deve esprimere
giudizi o commenti soggettivi, come invece facevano i narratori delle epoche precedenti
lo scrittore deve “scomparire” dietro la storia, deve mettersi “nella pelle” dei suoi personaggi,
cioè pensare e parlare come loro. In questo modo, il lettore ha l’impressione di osservare i
fatti dal vivo, come se non ci fosse nessuno a raccontarglieli, ma li stesse vivendo
direttamente. Questa tecnica narrativa si chiama “metodo dell’impersonalità”.
Dal punto di vista delle idee, Verga ha una visione molto pessimista della vita. Prende
spunto dalle teorie di Charles Darwin (come l’evoluzione e la selezione naturale) e pensa
che anche la società umana sia dominata dalla “lotta per la vita”: i più forti vincono e i più
deboli vengono schiacciati. Gli esseri umani, secondo lui, sono spinti solo dall’egoismo,
dall’interesse economico e dal desiderio di potere. Questa è una legge naturale, e nessun
cambiamento sociale può cancellarla.

LE OPERE
VITA DEI CAMPI
Viene pubblicata nel 1880 la prima edizione, la seconda verrà pubblicata l’anno successivo
e contiene racconti come Rosso Malpelo e la Lupa che sono novelle ambientate nel
contesto agricolo, i protagonisti sono personaggi umili che lottano contro le difficoltà econom
iche e l’emarginazione sociale

-ROSSO MALPELO
La vera e propria svolta verista avviene con questa novella che racconta la storia di un
giovane ragazzo siciliano, Malpelo, emarginato dalla comunità per i suoi capelli rossi,
considerati simbolo di cattiveria. Lavora duramente in una cava di sabbia, affrontando
maltrattamenti e un'esistenza solitaria e dolorosa. Dopo la morte del padre, anch'egli
minatore, Malpelo diventa sempre più duro e disilluso. Alla fine, accetta una missione
pericolosa in un cunicolo della cava e scompare, lasciando un'immagine di destino
ineluttabile e tragico, tipica della poetica verista.
L'autore si ritira completamente dalla narrazione, lasciando che la storia si sviluppi
attraverso i fatti e i dialoghi, come se si raccontasse da sola. In Rosso Malpelo, la narrazione
e filtrata dalla mentalità collettiva dei personaggi che circondano il protagonista, come
dimostra l'incipit, dove il narratore adotta il punto di vista della comunità che etichetta
Malpelo, senza intervenire per smentire o giudicare.
Trama→ Malpelo è un ragazzino con i capelli rossi. All'epoca in cui è ambientata
la novella di Verga, per via delle superstizioni popolari, i capelli rossi erano indice
di malizia e per questo motivo il ragazzo viene trattato male dai concittadini.
Preferisce, quindi, starsene per conto suo. Neanche la madre lo ama molto: non
ha mai accettato il fatto che abbia deciso di andare a lavorare nella cava e non si
fida di lui, pensa che rubi i soldi dello stipendio che porta a casa. Pure la sorella
lo accoglie sempre picchiandolo.
L'unico con cui sembra andare d'accordo è il padre, Mastro Misciu, il cui soprannome è
Bestia. Anche il padre lavora alla cava ed è l'unico ad avergli dimostrato un po' di affetto. Per
questo motivo quando gli altri operai cercano di prendere in giro il padre, Malpelo lo difende
sempre. Un giorno Mastro Misciu, su ordine del padrone accetta di abbattere un vecchio
pilastro inutile: il lavoro è pericoloso, gli altri operai si sono rifiutati, ma Mastro Misciu ha
bisogno di soldi.
Prevedibilmente il pilastro cade addosso all'uomo e Malpelo, disperato, comincia a scavare
a mani nude sotto le macerie, si spezza le unghie, chiede aiuto, ma quando gli altri arrivano
il padre è ormai morto.
Se prima Malpelo era scorbutico e ringhioso, dopo la morte del padre il suo carattere
peggiora. Inoltre comincia a lavorare proprio nella galleria dove il padre era morto.
Un giorno alla cava arriva a lavorare Ranocchio, un ragazzino che si è lussato il femore e
che non può più fare l'operaio a causa della sua zoppia. Malpelo lo prende subito di mira e
cerca di farlo reagire a suon di insulti e botte. Ranocchio non si difende e Malpelo lo picchia
sempre di più: vuole che Ranocchio impari a reagire e che capisca che la vita non è facile,
bensi una sfida continua.
In realtà Malpelo si è affezionato a Ranocchio e spesso gli dà parte del suo cibo e lo aiuta
nei lavori più pesanti.
Finalmente viene recuperato il cadavere di Mastro Misciu e Malpelo tiene come un tesoro i
pochi oggetti posseduti dal padre. Purtroppo ben presto anche Ranocchio muore, di tisi,
Malpelo è sempre più solo (la madre si è risposata e non vuole avere a che fare con lui e
anche la sorella si è trasferita in un altro quartiere) e finisce per scomparire nella cava dopo
che gli era stato assegnato il compito di esplorare una galleria sconosciuta.
Nessuno avrebbe mai accettato un compito così pericoloso, ma Malpelo ormai non ha più
niente da perdere: prende pane, vino, attrezzi e vestiti del padre ed entra nella galleria per
non uscirne mai più. La sua unica vendetta da morto è aver instillato il terrore negli altri
operai che hanno sempre paura di vederlo spuntare fuori all'improvviso con i suoi capelli
rossi e i suoi occhiacci.

-LA LUPA
Ambientata in un piccolo paese siciliano, La Lupa racconta di una donna, gna Pina,
soprannominata la Lupa dalla gente del posto per il suo comportamento e il suo aspetto: è
una donna non più giovane, "randagia", provocante e sensuale, che non va mai in chiesa e
seduce gli uomini del villaggio. Ha una figlia, Maricchia, "buona e brava", che non può che
piangere di nascosto per il suo destino infelice, infatti, con una madre del genere nessuno la
prenderà in moglie.
Un giorno la Lupa si innamora di Nanni, un giovane appena rientrato dal servizio militare con
cui lavora nei campi, ma il ragazzo, che ridendo rifiuta la donna, dichiara di desiderarne
invece la figlia. Cosi, dopo qualche mese, la Lupa costringe Maricchia a sposarlo e accetta il
matrimonio a una condizione: che i due vadano a vivere in casa di lei, lasciandole un angolo
per dormire.
Con questo stratagemma la donna, ancora follemente innamorata, può restare a contatto
con il genero e portare avanti con successo la sua bramosa opera di seduzione.Maricchia
arriva disperata a denunciare la madre in commissariato. Nanni confessa l'adulterio, ma la
denuncia non ha alcun risultato: le forze dell'ordine chiedono alla donna di lasciare la casa,
ma la Lupa rifiuta di farlo.Le cose non cambiano nemmeno quando Nanni, poco dopo, viene
colpito al petto dal calcio di un mulo e, ritenuto in punto di morte, confessa ancora i suoi
peccati e si pente. Ma una volta guarito “il diavolo torna a tentarlo” e non ha intenzione di
smettere. Al colmo della follia, Nanni capisce che l’unica soluzione per liberarsi della donna
è ucciderla

CICLO DEI VINTI

Pubblicato nel 1878 e contiene romanzi come i Malavoglia e mastro Don Gesualdo che sono
gli unici due romanzi completi.
Lo scopo di questa raccolta era quella di descrivere la società passando per tutte le classi
sociali dei ceti popolari alla borghesia di provincia. Il tema principale e la lotta per la
sopravvivenza
Verga non si concentra sui vincitori ma sui vinti.
I MALAVOGLIA (1881)

La prefazione si può dividere in due parti. Nella prima Verga indica gli obiettivi del suo
lavoro; nella seconda parte espone le sue idee sul progresso. Il tema centrale dell’opera è la
rottura dell’equilibrio che si verifica in una famiglia di pescatori, quando questi si accorgono
che la loro condizione economica potrebbe migliorare. Attraverso questa vicenda, Verga
focalizza la sua attenzione sulla lotta per i bisogni materiali che caratterizza la vita degli strati
più bassi della società, nel momento in cui anche qui comincia a diffondersi l’idea del
progresso, cioè di un miglioramento delle condizioni di vita, che si genera grazie
all’innalzamento del generale tenore di vita di fine Ottocento.

Nella seconda parte della prefazione, Verga definisce il progresso, chiarendo al lettore quali
interessi lo hanno indotto a progettare il ciclo di romanzi. Inizia sottolineando la positività dei
risultati raggiunti dal progresso: se si valuta il progresso osservando l’insieme delle
conquiste scientifiche, il giudizio è positivo, ma se si osserva quali conseguenze produce il
progresso nella vita dei singoli, la valutazione cambia, perché nella lotta per la ricerca del
meglio molti vengono sopraffatti da meccanismi che non riescono a padroneggiare, vengono
emarginati e calpestati da coloro che riescono ad affermarsi e che, molto spesso, saranno a
loro volta sopraffatti da altri vincitori. L’interesse di Verga si concentra sui costi umani del
progresso e in particolare sul dramma dei vinti generato dalle trasformazioni innescate dal
progresso.

Trama → Il romanzo è ambientato ad Aci-Trezza, piccolo paese di pescatori in


provincia di Catania; le vicende si svolgono tra il 1863 e il 1875 e riguardano le
alterne fortune della famiglia Toscano, conosciuta come Malavoglia, composta
dal "patriarca", padron ‘Ntoni, dal figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza detta
"la Longa" e dai cinque nipoti, ‘Ntoni, Mena, Luca, Alessi e Lia. I Malavoglia
vivono nella casa di famiglia, la casa del nespolo. Essi conducono una vita povera
e dignitosa segnata dalla fatica quotidiana della pesca sulla loro barca, la
Provvidenza. Qualche tempo dopo la chiamata alla leva militare di ‘Ntoni, una
grave disgrazia colpisce la famiglia: la Provvidenza naufraga, a causa di una
tempesta, perdendo in mare il carico di lupini che padron ‘Ntoni aveva acquistato
a credito dallo zio Crocifisso, l’usuraio del paese. Nel naufragio perde la vita
Bastianazzo, che lascia orfani i suoi cinque figli. Senza più la barca, con un forte
debito da saldare, i Malavoglia proseguono le loro fatiche, nel tentativo di
mettere insieme il denaro per pagare il debito. Il ritorno di ‘Ntoni dalla leva (di lì
a poco toccherà anche a Luca partire) e il recupero della barca sembrano dare
qualche speranza ai Malavoglia, guidati dal nonno, padron ‘Ntoni.
Ma il giovane nipote ‘Ntoni, quando si rimette al lavoro, manifesta un’avversione sempre
maggiore alla fatica quotidiana: durante il periodo di leva militare che ha trascorso al Nord,
egli ha intravisto la possibilità di una vita diversa e di un benessere che prima non
conosceva. Intanto, l’affare dei lupini ha incrinato i rapporti tra la famiglia e i paesani, che
dimostrano la loro contrarietà ai Malavoglia, ritenendoli colpevoli di non essersi accontentati
della vita da pescatori; con il passare del tempo le difficoltà dei Malavoglia aumentano: la
famiglia deve lasciare la casa del nespolo, Mena e ‘Ntoni rompono i loro fidanzamenti. Nel
frattempo li raggiunge la notizia di un’altra disgrazia: la morte di Luca nella battaglia di Lissa
(1866). I Malavoglia non si arrendono e continuano a sfidare il mare, ma ‘Ntoni, sempre più
insoddisfatto della vita difficile che deve condurre, decide di andarsene dopo la morte della
madre, contagiata durante un’epidemia di colera. Rimasto con il solo aiuto del piccolo Alessi,
padron ‘Ntoni si vede costretto a vendere anche la barca. Di lì a poco Ntoni torna, più povero
di quando era partito; umiliato e insofferente, comincia a vivere di piccole attività anche
illegali fino a quando, sorpreso in un’operazione di contrabbando, accoltella la guardia
doganale, don Michele, e viene condannato a cinque anni di prigione. Il processo fa inoltre
emergere la relazione fra don Michele e Lia, che, sentendosi disonorata, si allontana dal
paese per finire in una casa di prostituzione. Padron ‘Ntoni, a causa del peggioramento delle
sue condizioni di salute, viene ricoverato all’ospedale di Catania, dove morirà lontano dai
suoi affetti e dalla sua terra. Alessi, intanto, si sposa con Nunziata e riesce a riscattare la
casa del nespolo, continuando la sua vita da pescatore, fedele al sistema di valori
tramandatogli dal nonno. Il romanzo si chiude con il ritorno alla casa del nespolo, una sera,
di ‘Ntoni, che però, sentendosi ormai estraneo alla vita del paese, comprende che non può
più restarvi: dopo un ultimo sguardo a un mondo da cui è escluso, si allontana per sempre.

Figure chiave del romanzo sono padron ‘Ntoni e il giovane nipote ‘Ntoni, che rappresentano i
due opposti: i loro comportamenti muovono infatti, il meccanismo della narrazione. Con il
tentativo di diventare commerciante di lupini, padron ‘Ntoni prende un’iniziativa volta a
migliorare le condizioni della famiglia: è una scelta che testimonia come la storia e il mondo
stiano cambiando l’esistenza del villaggio; nonostante ciò, egli rimane all’interno di una
realtà regolata dalle leggi della tradizione. Il giovane ‘Ntoni invece aspira a un cambiamento
radicale: l’esperienza della modernità che ha vissuto in città, ha prospettato nuovi orizzonti di
benessere che non si conciliano più con l’ordine prefissato della vita del villaggio. La scelta
di ‘Ntoni porta però il giovane alla sconfitta, che subisce due volte: la pris prima quando
torna al paese «lacero e pezzente»; la seconda nell’ultima pagina del romanzo, quando
sente di non poter più appartenere al luogo dove è nato: ha trasgredito il codice di
comportamento del paese e, dunque, deve andarsene.

Verga mette in pratica la tecnica della regressione, affidando la narrazione a un narratore


esterno che condivide il sistema di valori degli abitanti di Aci-Trezza e che riporta le
considerazioni, i giudizi e i commenti dei paesani. In questo modo Verga rappresenta il
mondo culturale di Aci-Trezza secondo l’ottica dei suoi abitanti, sia di quelli che sono
portatori dei valori della società patriarcale (l’ideale dell’ostrica), sia di quelli che agiscono
secondo una logica utilitaristica o vivono di pettegolezzi.

La lingua è italiana, ma viene mescolata con cadenze, inflessioni dialettali ed espressioni


proprie della narrazione popolare: metafore e similitudini tratte dal linguaggio dei popolani,
un vasto repertorio di proverbi ed espressioni idiomatiche, l’uso di soprannomi caratteristici
di una piccola comunità contadina e marinara e irregolarità sintattiche tipiche dell’oralità
dialettale.

MASTRO DON GESUALDO(1889)


Mastro-Don Gesualdo (1889)
Lo scenario del romanzo è Vizzini, una cittadina tra Catania e Ragusa; le vicende
abbracciano quasi trent’anni, dal 1820 al 1848, in un periodo precedente l’unificazione
d’Italia. A differenza dei Malavoglia, il romanzo è impostato sulla vita di un protagonista
unico, Gesualdo Motta, che raggiunge il successo economico, riuscendo a salire di livello
nella scala sociale. Tuttavia, una volta raggiunto il punto culminante del successo, ha inizio
la sua parabola discendente, che farà anche di lui un "vinto", sopraffatto dalla logica del
profitto e del progresso.

Trama → il romanzo si incentra sulle vicende di Gesualdo Motta, un uomo che da


solo, con il duro lavoro, ha costruito la sua fortuna partendo dalla posizione di
muratore ("mastro") per arrivare a quella di proprietario terriero e, dunque,
persona rispettabile ("don"): in paese viene però chiamato con il doppio
appellativo di mastro-don, che ricorda le sue umili origini. Interamente dedito al
lavoro, si muove instancabile tra le sue terre, alle prese con problemi di ogni
sorta, creati anche dai familiari. Solo una donna appare sinceramente legata a
lui: Diodata, una giovane serva orfana, madre dei suoi due figli. Ma nel mondo di
Gesualdo non c’è spazio per gli affetti. Per creare legami con i notabili del paese
e allargare il suo campo d’azione, acconsente a sposare una donna che non ama,
Bianca Trao. Discendente di una famiglia nobile decaduta, creatura malinconica,
Bianca vive rassegnata allo stato di povertà in cui l’hanno ridotta i fratelli, legati
alle tradizioni aristocratiche, ma incapaci di agire nel mondo reale. Il matrimonio
dovrebbe servire anche a salvare l’onore della donna, compromesso dalla
scoperta di una relazione clandestina con il cugino Ninì. I parenti di Bianca
mostrano, però, di disprezzare Gesualdo a causa delle sue origini e la stessa
donna gli manifesta una sostanziale estraneità. Dopo questa unione ha inizio la
parabola discendente di Gesualdo. Intanto a Palermo scoppiano i moti carbonari
del 1820. In quella notte muore don Diego Trao e Bianca, accorsa al capezzale
del fratello, partorisce prematuramente una bambina, Isabella, probabile frutto
della sua relazione con Nini. L’estraneità della bambina a Gesualdo sarà
sottolineata anche dal fatto che le viene dato il cognome Trao, della madre, e
non Motta. Con il tempo Isabella vive nei confronti del padre un distacco sempre
più profondo, acuito dalla vergogna per le origini umili del genitore, che le sono
rinfacciate dalle compagne del collegio dove è stata portata per essere educata
“come si conviene ad una figlia di barone”. Anche lei sarà costretta a un
matrimonio di convenienza: dovrà infatti dimenticare l’amore per il cugino
Corrado la Gurna, un orfano di nobili origini ma povero, per sposare il duca di
Leyra, nobile palermitano in condizioni economiche non più floride, ma
appartenente a un’antica famiglia che darebbe prestigio alla discendenza di
Gesualdo. Nella casa del genero andranno a finire la maggior parte delle
ricchezze accumulate dal protagonista, ormai avviato verso una inesorabile
decadenza: la moglie Bianca muore; Gesualdo si ammala di un cancro allo
stomaco. Rendendosi conto che ormai è finita per davvero, si lascia portare nel
palazzo di Palermo del genero, dove vive isolato, circondato da un clima di
indifferenza.
Prostrato fisicamente e moralmente, non può trovare conforto neppure nella figlia: infatti, pur
tendando di instaurare un sincero rapporto con lei, riesce a stabilire un contatto con la
giovane solo nel colloquio che precede la morte. Termina così la sua vita in totale solitudine,
trascurato persino dai servi che dovrebbero prendersi cura di lui.
Nel Mastro-don Gesualdo tramonta definitivamente il valore della società patriarcale, ancora
vivo nel primo romanzo del Ciclo dei Vinti. La famiglia di Gesualdo è lacerata da conflitti
durissimi: il padre Nunzio, geloso dei successi del figlio, nutre verso Gesualdo un sordo
rancore; l’avida sorella Speranza gli è ferocemente ostile; la moglie Bianca gli è estranea,
così come la figlia Isabella, che porta addirittura il cognome dei Trao; i figli naturali avuti da
Diodata lo odiano. Solo la fedeltà di quest’ultima donna, sempre presentata in una luce
positiva, lascia intravedere che per Gesualdo si sarebbe potuto aprire un diverso destino. E
questo rende ancora più evidente il fallimento del suo progetto di vita.

Don Gesualdo ha fatto propria la legge dell’utilità e del successo economico, che sconta con
la solitudine. Già agli inizi della carriera Gesualdo spezza i tradizionali rapporti all’interno
delle famiglie patriarcali arrivando a un duro conflitto con il padre. Rinuncia poi a Diodata,
legata a lui da un affetto tenace e disinteressato, per sposare una donna che gli sarà
sempre estranea.. Gesualdo accetta questa condizione e si rende presto conto che deve
scontare l’affermazione sociale con il fallimento nella vita privata; ma non mette mai in
discussione la necessità di subordinare tutto alla logica del profitto economico, fino a quando
la malattia gli rivelerà l’assurdità di questa scelta. Ciò nonostante nell’animo di Gesualdo
resta un legame con le antiche leggi morali della tradizione, che emerge, ad esempio, in
occasione della morte del padre, dove è l’unico della famiglia sinceramente addolorato.
Questo momento, insieme ad altri che testimoniano la consapevolezza del personaggio
quando riflette sul fallimento della sua vita, mettono in luce la complessità psicologica del
protagonista.

La collocazione temporale di Mastro-don Gesualdo in una fase precedente l’unificazione


d’Italia esprime l’esigenza di Verga di inserire il ciclo nella fase di trasformazione storico-
sociale che caratterizza il Sud Italia in quegli anni. Sottolineando la logica dell’interesse
individuale che caratterizza il ceto imprenditoriale emergente in Sicilia, Verga indica uno dei
motivi del fallimento del Risorgimento e di tutte le speranze che aveva suscitato. Il romanzo
si presenta come l’analisi dettagliata di una società di arrivisti e di casate decadute e
corrotte, che trasmettono alle generazioni successive i loro vizi come una malattia ereditaria:
questo contesto sociale non ha consentito, secondo Verga, la formazione di un ceto
dirigente capace di modificare la struttura feudale del Paese e di creare le premesse di uno
Stato moderno.

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