Corte Di Cassazione Italiana Sezioni Unite 12.11.2024
Corte Di Cassazione Italiana Sezioni Unite 12.11.2024
Firmato Da: PASQUALE D'ASCOLA Emesso Da: TRUSTPRO QUALIFIED CA 1 Serial#: 504a11ef64c2bf4a - Firmato Da: STALLA GIACOMO MARIA Emesso Da: CA DI FIRMA QUALIFICATA PER MODELLO ATE Serial#: 4c6225733875e930
Numero di raccolta generale 3625/2025
Data pubblicazione 12/02/2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- ricorrenti -
contro
- resistente -
Numero registro generale 12769/2016
Numero sezionale 346/2024
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Data pubblicazione 12/02/2025
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in euro 24.921,40 con applicazione delle sanzioni al minimo di
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legge;
• il 9 giugno 2014 la società veniva cancellata dal Registro delle
Imprese di Treviso;
• il 29 ottobre 2014 l’Agenzia delle Entrate proponeva appello
avverso questa sentenza evocando in giudizio, vista la
cancellazione della società, i soci Pierina, Renato ed Andrea Zara;
affermava preliminarmente la responsabilità di costoro per il debito
della società, ex artt. 2495, co, 2^, cod.civ. e 36 co. 3^ d.P.R.
602/73, allegando a proprio interesse il fatto che, pur in presenza
di un bilancio finale di liquidazione che, in quanto negativo, non
aveva attribuito alcunchè ai soci, risultasse comunque in bilancio
l’appostazione di un credito della società verso il Fisco per
annualità pregresse, come tale suscettibile di compensazione con
la pretesa qui dedotta;
• si costituivano i soci i quali eccepivano preliminarmente che, a
seguito della cancellazione della società, il giudizio – inizialmente
radicato esclusivamente nei confronti di quest’ultima - non poteva
proseguire e che, comunque, facevano difetto sia l’interesse ad
agire in capo all’Agenzia delle Entrate (asseritamente basato su
una compensazione nei confronti di un soggetto non più
esistente), sia la loro legittimazione passiva, in quanto non
destinatari di somme o beni in sede di liquidazione ex art. 2495
cod.civ.;
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• la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, respinte le
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eccezioni preliminari, accoglieva l’appello e, in riforma della prima
decisione, affermava la legittimità in toto dell’avviso così come
notificato alla società osservando, per quanto qui di interesse, che:
- l'Agenzia delle Entrate aveva correttamente chiamato in causa gli
ex soci della società medio tempore cancellata posto che, per
effetto del fenomeno di tipo successorio che si era così venuto a
creare ex art. 110 cod.proc.civ. (come evincibile da Cass. SU n.
6070/2013) essi, anche se rimasti estranei al primo grado di
giudizio, avevano acquisito la legittimazione sostanziale e
processuale, attiva e passiva, senza che ciò determinasse una
lesione dei loro diritti di difesa; - atteso che il giudizio verteva
unicamente sull'avviso di accertamento notificato alla società per il
2006, le ulteriori questioni che gli Zara avevano sollevato circa i
limiti della loro responsabilità diretta per il pagamento delle
somme derivanti da detto avviso (in quanto non destinatari di beni
in sede di liquidazione finale) non potevano avere ingresso,
trattandosi di eccezioni che avrebbero potuto essere
eventualmente dedotte in un diverso giudizio. Gli Zara hanno
proposto ricorso avverso questa sentenza, di cui chiedono la
cassazione sulla base di undici motivi ex art. 360 co. 1^ nn. 3, 4 e
5 cod.proc.civ., i primi tre dei quali volti a censurare la su riportata
ragione decisoria della Commissione Tributaria Regionale, e qui
rilevanti: - con il primo motivo si afferma la nullità della sentenza
e del procedimento per violazione degli artt. 100 cod. proc. civ. e
1, comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992, in relazione
all'art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ..: la Commissione
Tributaria Regionale aveva erroneamente omesso di dichiarare
l'inammissibilità, per carenza d'interesse ad agire dell'appello
proposto dall'Agenzia direttamente nei confronti degli ex soci a
seguito dell'estinzione della società, come reso evidente dal fatto
che la compensazione tra il credito erariale verso la società (di cui
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si era chiesto l'accertamento definitivo in appello) ed il
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controcredito vantato da questa per rimborso IVA, non poteva più
realizzarsi per l'inesistenza del soggetto giuridico (la società)
titolare sia del credito da compensare sia dell’asserito debito
dedotto in avviso; né il credito della società verso il Fisco si
trasmetteva agli ex soci a seguito ed in conseguenza
dell'estinzione della società stessa, dal momento che a costoro si
trasferivano esclusivamente le sopravvenienze attive, ovvero i beni
ed i crediti diversi dalle mere pretese non compresi nel bilancio di
liquidazione della società estinta, laddove il credito di rimborso Iva
in questione risultava invece compreso nel bilancio di liquidazione;
- con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della
sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 110 cod.
proc. civ. e 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992 (e dei
presupposti artt. 2495, comma 2, cod. civ. e 36, comma 3, del
d.P.R. n. 602/1973) in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4,
cod. proc. civ.: la Commissione Tributaria Regionale aveva
erroneamente omesso di dichiarare (eventualmente anche
d’ufficio) l'inammissibilità dell'appello perchè proposto dall'Agenzia
direttamente nei confronti degli ex soci, senza aver
contestualmente dimostrato anche la loro personale responsabilità
in relazione ai debiti erariali già facenti capo alla società estinta
per effetto e nei limiti della riscossione o assegnazione a loro
favore delle somme o dei beni di cui agli artt. 2495, comma 2,
cod. civ. e 36, comma 3, del d.P.R. n. 602/1973 (ed, anzi, pur
essendo stato in causa positivamente dimostrato il contrario); in
quanto tempestivamente dedotta con le controdeduzioni d'appello,
e quindi in occasione del loro primo atto difensivo, la questione,
contrariamente a quanto affermato in sentenza, non poteva
certamente essere considerata estranea al thema decidendum e
proponibile solo in altra sede; - con il terzo motivo di ricorso si
riformula la stessa doglianza del motivo che precede, ma sotto il
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profilo, ex art. 360 co. 1^ n. 3) cod.proc.civ., della violazione o
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falsa applicazione degli artt. 2495, comma 2, cod. civ. e 36, 12/02/2025
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• dal 1^ gennaio 2004 (data di entrata in vigore della riforma del
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diritto societario di cui al d.lgs. n.6/2003) la cancellazione della
società dal registro delle imprese ha effetto costitutivo e ne
comporta l’immediata estinzione, con superamento del pregresso
indirizzo secondo cui l’estinzione presupponeva invece l’effettivo
esaurimento di tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società
(Cass., Sez. U., 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061 e 4062);
• successivamente alle sentenze appena citate, si è poi affermato
(Cass., 16 maggio 2012, n. 7676; Cass., 16 maggio 2012, n. 7679;
Cass., 16 maggio 2012, n. 19453) che, in base all’art. 2495 cit.,
nelle società di capitali la riscossione della quota in forza del
bilancio finale di liquidazione non costituisce soltanto il limite di
responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la
condizione per la sua successione nel processo già instaurato
contro la società; sicché il socio (diversamente dall’erede della
persona fisica) non è di per sé successore universale della società,
ma lo diviene, ex lege, se ed in quanto vi sia stata questa
riscossione (nel qual caso egli risponde intra vires del debito
sociale), con la conseguenza che quest’ultimo evento deve essere
allegato e dimostrato quale presupposto della condizione
dell’azione costituita dall’interesse ad agire, il quale “richiede non
solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche la
prospettazione dell'esigenza di ottenere un risultato utile,
giuridicamente apprezzabile, conseguente allo specifico intervento
giurisdizionale richiesto, giacché il processo non può essere
utilizzato in previsione di solo astratte esigenze”;
• si è così giunti ai noti arresti del 2013 (Cass.Sez.U nn. 6070-6071-
6072) con i quali è stato chiarito che, a seguito della cancellazione
ed estinzione della società in corso di causa (come nella specie), si
determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i
rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono (cosa
che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma
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si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto
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riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente, a
seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti in
vita la società; in modo tale che i soci successori della società
subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo
all'ente — la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della
persona fisica, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ. — in situazione
di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a
prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale
(Cass., Sez. U., 2013 cit.); inoltre, qualora all'estinzione della
società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal
registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni
rapporto giuridico facente capo alla società estinta, l’effetto
successorio comporta che i diritti e i beni non compresi nel bilancio
di liquidazione della società estinta si trasferiscano ai soci, in
regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle
mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei
crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio
avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) e
il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di
ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più
rapida conclusione del procedimento estintivo;
• sempre secondo le Sezioni Unite del 2013, il socio successore non
cessa di essere tale sol perché risponde intra vires, e se il suddetto
limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il
creditore di far valere le proprie ragioni nei suoi confronti, ciò si
rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire e non sulla
legittimazione passiva del socio medesimo, con l'ulteriore
specificazione che in tal caso il creditore potrebbe avere comunque
interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in
funzione dell'escussione di garanzie;
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• diversa è la posizione del liquidatore, il quale non succede alla
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società e può essere raggiunto, ex art. 2495 cit., da un’azione
autonoma (di natura risarcitoria) da parte dei creditori sociali
insoddisfatti qualora il mancato pagamento sia da lui dipeso (Cass.,
30 luglio 2020, n. 16362);
• su queste premesse, si osserva ancora nell’ordinanza di rimessione,
si sono poi sviluppate nella giurisprudenza linee interpretative non
del tutto univoche e collimanti, nel senso che: a) per un primo e
maggioritario indirizzo, costituente ormai “diritto vivente”
(Cass., 5 novembre 2021, n. 31904), il limite di responsabilità dei
soci di cui all'art. 2495 cod. civ. non incide sulla loro legittimazione
processuale ma appunto sull'interesse ad agire dei creditori sociali,
interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza
che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale,
potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non
ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si siano
trasferiti ai soci; dunque, il creditore potrebbe avere interesse al
mero accertamento del diritto, e l'eventuale insussistenza di attivo
distribuito potrebbe incidere sulla esigibilità del credito in fase
esecutiva (Cass. 8 marzo 2017, n. 5988; Cass., 7 aprile 2017, n.
9094; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1713; Cass. 19 aprile 2018, n.
9672; Cass., 5 giugno 2018, n. 14446; Cass., 16 giugno 2017, n.
15035; Cass. 16 gennaio 2019, n. 897; Cass., 18 dicembre 2019,
n. 33582; Cass., 26 giugno 2020, n. 12758; Cass., 19 novembre
2020, n. 26402; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2021, n. 619; Cass.,
4 gennaio 2022, n. 2); pure in ambito tributario la possibilità di
sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile
esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, non
consentono di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un
titolo nei confronti dei soci, “in considerazione della natura
dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni
statiche allo stato degli atti” (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass.,
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Numero sezionale 346/2024
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16 giugno 2017, n. 15035); orientamento, questo, che è stato
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ribadito anche dalle stesse Sezioni Unite, sebbene in sede di
regolamento di giurisdizione (15 gennaio 2021 n. 619 cit.),
secondo le quali il fatto che “i soci abbiano goduto, o no, di un
qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è
dirimente (...) ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del Fisco
creditore"; b) in base ad un secondo orientamento, si afferma
che è necessario provare l’effettiva percezione delle somme da
parte dell’ex socio a titolo di legittimazione passiva, e questo onere
incombe ex art. 2697 cod.civ. (trattandosi di elemento costitutivo
della fattispecie di responsabilità) sul creditore che agisce (Cass. 26
giugno 2015, n. 13259; Cass., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass.
31 gennaio 2017, n. 2444; Cass., 22 giugno 2017, n. 15474;
Cass., 4 dicembre 2019, n. 31933; Cass., 15 gennaio 2020, n.
521), il che deve valere anche per il Fisco (Cass. 19732/ 9005;
Cass.11968/2012; Cass. 7676/2012; Cass. 23916/16); c) in base
ad un terzo orientamento, si sostiene che nel caso di società di
capitali l’accertamento della riscossione della quota di liquidazione
si correla alla legittimazione ad causam del socio ai fini della
prosecuzione del processo ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ.
sicchè, in presenza di contestazione sul punto, questa circostanza
va provata dal soggetto che si costituisce in giudizio nella qualità di
successore universale della società estinta, dimostrazione da
ritenersi ammissibile anche, per la prima volta, nel giudizio di
cassazione, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., in quanto appunto
diretta a comprovare, sotto il detto profilo, l'ammissibilità del
ricorso (Cass., 5 novembre 2021, n. 31904; Cass. 31 gennaio
2017, n. 2444), così anche Cass., 16 novembre 2020, n. 25869,
secondo cui: “qualora l'estinzione della società a seguito di
cancellazione dal registro delle imprese intervenga in pendenza di
un giudizio che la veda parte, si determina un evento interruttivo,
disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione
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o riassunzione ad opera o nei confronti dei soci, successori della
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società, ai sensi dell'art. 110 c.p.c.; ove l'evento non sia stato fatto
constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare
in tali modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della
sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o
essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti
dei soci, purché dei presupposti della "legitimatio ad causam" sia
da costoro fornita la prova” ;
• pur dopo le decisioni delle Sezioni Unite del 2013, quindi,
permarrebbero varie discrasie nella giurisprudenza: sia là dove si
riconduce la condizione di cui all’art. 2495, co. 2^, cod.civ.
nell’ambito ora dell’interesse ad agire (salvo poi prescinderne
ritenendo che il creditore abbia comunque interesse anche in
mancanza di una effettiva riscossione di somme sulla base del
bilancio finale di liquidazione), ed ora della legittimazione
processuale del socio, sia là dove si adottano sul punto criteri di
ripartizione dell’onere probatorio del tutto opposti, a seconda che ci
si muova nella prospettiva del creditore o del socio succeduto;
• il tutto andrebbe poi specificato con riguardo al contesto tributario
ed alle sue peculiarità, quanto a: - natura impugnatoria del
giudizio, ex art. 19 d.lgs. n. 546/92, e divieto di ampliamento del
tema decisionale, apparentemente ostativo alla possibilità di
sollevare l'eccezione del difetto di responsabilità del socio che sia
succeduto in corso del giudizio (Cass., 19 aprile 2018, n. 9672, in
motivazione); - natura ‘anche’ di merito del medesimo, fermo
restando che l'art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546
del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6 CEDU
e 47 CDFUE, “esclude la pronuncia di condanna indeterminata,
rendendo necessario l'esame nel merito della pretesa, entro i limiti
posti dalle domande di parte” (Cass., 25 novembre 2022, n.
34723; Cass. 10 settembre 2020, n. 18777); - caratteristiche
formali ed amministrative dell'atto impositivo, che presuppone in
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ogni caso una iscrizione a ruolo nei confronti del socio, succeduto
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nel corso del processo, per le somme accertate nei confronti della 12/02/2025
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“l'accertamento dell'interesse ad agire, inteso quale esigenza di
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provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la
tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con
riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto
alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito
della controversia e dal suo prevedibile esito» (Cass., Sez. U., 22
novembre 2022, n. 34388)
§ 1.3 Assegnato dalla Prima Presidente alle Sezioni Unite, il ricorso
è stato chiamato alla pubblica udienza odierna.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità,
introducendo essi questioni estranee al giudizio, dei primi tre motivi
di ricorso (quelli qui di interesse) previa affermazione del seguente
principio di diritto: “nel giudizio tributario, la successione dei soci
limitatamente responsabili nella posizione processuale di una
società estintasi nel corso del giudizio comporta che i soci non
possano sollevare questioni inerenti alla loro successione nella
posizione sostanziale e processuale della società estinta, né quelle
che si riflettono sull’esistenza dell’interesse ad agire
dell’amministrazione finanziaria nei loro confronti, in quanto
estranee all’ambito della controversia, come delimitato dalla
motivazione dell’atto impositivo notificato alla società e dalle
ragioni del ricorso introduttivo della causa dalla società stessa
formulato”.
Sulle questioni di cui all’ordinanza di rimessione, il Procuratore
Generale ha in particolare osservato che:
• in ragione di quanto già stabilito dalle citate sentenze delle
Sezioni Unite del 2013, l'ex socio ha sempre e comunque
legittimazione passiva, incidendo il requisito di cui al secondo
comma dell'articolo 2495 del cod.civ. (percezione di somme
sulla base del bilancio finale di liquidazione) sull'interesse ad
agire del creditore, peraltro “non condizionato
necessariamente dalla ricezione da parte del socio di somme
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all’esito del bilancio finale di liquidazione, presupposto che
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inerisce strettamente alla sussistenza ed al perimetro della
responsabilità patrimoniale del socio medesimo, potendosi
ravvisare un diverso interesse all’accertamento del credito,
quale quello funzionale all’escussione di garanzie”;
• come stabilito dalle Sezioni Unite medesime, il fenomeno
successorio in questione determina sul piano processuale
l’applicabilità degli artt. 299 segg. e 110 cod.proc.civ. e, nel
caso in cui l’evento estintivo non sia stato fatto constare
ritualmente o si sia verificato in pendenza del termine per
l’impugnazione di una sentenza, “il gravame deve promanare
o esser indirizzato dai soci o nei confronti dei soci succeduti
alla società estinta”;
• pur in presenza di qualche pronuncia di segno contrario,
l’indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite del 2013 costituisce
ormai ‘diritto vivente’, generalmente seguito, in ordine al
fatto che “il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c.
attiene all’interesse ad agire del creditore e non già alla
legittimazione processuale dei soci, con conseguente
divaricazione tra la posizione giuridica soggettiva di debitore
di questi ultimi, riconducibile al sol fatto che la società si sia
estinta e si sia quindi verificato il fenomeno successorio sui
generis di cui s’è detto, e la loro responsabilità patrimoniale,
riscontrabile nei limiti di quanto previsto dall’art. 2495,
secondo co.”;
• sempre in considerazione di questo consolidato orientamento
(e come anche osservato da Cass.SU n. 619/21) l’assenza nel
bilancio di liquidazione della società estinta di ripartizioni agli
ex soci non esclude tuttavia “l’interesse dell’Agenzia a
procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione
della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da
considerazioni statiche allo stato degli atti”;
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• su questo presupposto, e venendo con ciò al tema dell’onere
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della prova, occorre ritenere che “sul creditore gravi un onere
di allegare e, in caso di contestazione da parte del preteso
debitore, provare, non necessariamente solo la reale
percezione delle somme conseguente alla ripartizione
dell’attivo sociale successiva all’approvazione del bilancio
finale di liquidazione, ma anche, alternativamente, alla luce
della “dilatazione” operata dalla giurisprudenza del perimetro
del concetto di interesse ad agire in fattispecie quali quella
per cui causa, la necessità di accertare il credito nei confronti
dei soci per ragioni diverse, quali quelle riconducibili alla
possibile escussione di una garanzia o alla eventuale
sopravvenienza di attivo, o ancora alla ipotizzabile non
inclusione di beni o diritti nel bilancio finale di liquidazione”;
• per regola generale, vertendosi appunto di interesse ad agire
quale condizione di ammissibilità della domanda, questi
presupposti sono oggetto “di un onere di allegazione o, in
caso di contestazione, di dimostrazione, da parte del
creditore”;
• in sede di adattamento di questi principi al processo
tributario nel quale gli ex soci succedano alla società estinta,
le peculiarità date dalla natura impugnatoria e delimitata ai
motivi di opposizione avverso l’atto impositivo tipica del
giudizio, induce a rilevare che “i profili riconducibili
all’interesse ad agire dell’amministrazione finanziaria nei
confronti dei soci, e non più della società, sono estranei alla
controversia, né possono essere introdotti ad integrazione
della materia del contendere, sinanche fosse già intervenuta
la distribuzione di utili ai soci; all’amministrazione finanziaria
è infatti preclusa la possibilità di integrare o modificare la
motivazione dell’avviso di accertamento nel corso del giudizio
(Cass., n. 2382/18)”;
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• ciò posto, il Fisco mantiene interesse al rigetto del ricorso
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contro l’atto impositivo notificato alla società poi dissoltasi,
“al fine di ottenerne il consolidamento, necessario
presupposto, quest’ultimo, di una successiva iscrizione a
ruolo del credito erariale nei confronti del socio o, più
correttamente, dell’emissione di un ulteriore avviso di
accertamento, la cui motivazione dovrà inerire,
inevitabilmente, anche alla sussistenza dei presupposti di cui
all’art. 2495, secondo comma c.c. o di cui all’art. 36, terzo
comma del d.p.r. 602/73”;
• quest’ultimo dato normativo, in particolare, depone nel senso
che “sia la responsabilità dei soci ex art. 36, terzo comma,
d.p.r. n. 602/73, sia quella ai sensi dell’art. 2495, secondo
comma c.c., implicano quindi la necessità di un atto
impositivo, distinto e successivo rispetto a quello emesso nei
confronti della società estintasi, condizionatamente al fatto
che la pretesa tributaria nei confronti della società si sia
consolidata”.
Ragioni della decisione:
§ 2.1 In base all’art. 2495 cod. civ. (originariamente nel suo 2^ co.,
poi divenuto 3^ co. a seguito della modifica apportata dal D.L.
n.76/2020 conv. in legge n. 120/20): “Ferma restando l'estinzione
della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti
possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla
concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale
di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato
pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta
entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso
l'ultima sede della società”.
La disposizione ricalca l’art. 2456 cod.civ. nella formulazione
previgente alla riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6/2003,
collocandosi però in un contesto normativo del tutto nuovo, segnato
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dal definitivo superamento della risalente e consolidata tesi della
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permanenza in vita della società fino ad avvenuta definizione di ogni
rapporto giuridico ad essa riferibile (c.d. ‘liquidazione sostanziale’), a
favore della natura costitutiva, ad effetto immediato, dell’estinzione
della società a seguito ed a causa della sua cancellazione dal registro
delle imprese (Cass. SSUU n. 4060/10); tanto che la vera
innovazione dell’art. 2495 rispetto all’art. 2456 prev. va appunto
individuata nella precisazione iniziale, per cui la responsabilità dei soci
dopo la cancellazione opera, adesso, ad estinzione sociale avvenuta:
“Ferma restando l'estinzione della società (…)”.
Orbene, la materia in esame – nella sua disciplina codicistica – ha
trovato un assetto interpretativo ed applicativo che giustamente
l’ordinanza di rimessione ed il Procuratore Generale definiscono del
tutto assodato nei suoi fondamenti, ed anzi integrante (nella
condivisione di larga parte della Dottrina e della giurisprudenza
successiva) un vero e proprio ‘diritto vivente’ che – lo si precisa
subito – andrà qui ribadito e confermato.
Si tratta, del resto, di una ricostruzione a tal punto nota che ne
sarà sufficiente un richiamo essenziale mirato ai temi di causa, con
riguardo agli effetti tanto sostanziali quanto processuali della
cancellazione-estinzione della società, così come evincibili da Cass.
SSUU, 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072.
Ciò nel senso che, sul piano sostanziale, qualora all'estinzione della
società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal
registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto
giuridico facente capo alla società estinta, “si determina un fenomeno
di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società
non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del
creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei
limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente,
a seconda che, ‘pendente societate’, fossero limitatamente o
illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non
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compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si
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trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa,
con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in
giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto
bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o
extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore
consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una
più rapida conclusione del procedimento estintivo”. Mentre, sul piano
processuale, la cancellazione della società dal registro delle imprese,
a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società
cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, in
modo tale che qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un
giudizio del quale la società è parte, “si determina un evento
interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con
eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei
soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ.”.
Dunque: - la cancellazione della società ha effetto costitutivo
immediato ma non comporta l’estinzione, in danno dei creditori ed in
violazione dell’art. 24 Cost., delle obbligazioni sociali; - gli ex soci
rispondono (di un debito che non è nuovo, derivando esso non dalla
liquidazione ma dal pregresso svolgimento dell’attività societaria in
adempimento del contratto sociale, così mantenendo invariata la sua
causa e la sua natura giuridica d’origine) quali successori, seppure
intra vires ex 2495 co. 2 cod.civ. (ovvero illimitatamente, a seconda
del regime di responsabilità attivo in pendenza del rapporto sociale);
- i diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione si
trasferiscono ai soci in contitolarità ovvero comunione indivisa, con
eccezione delle mere pretese o dei crediti non certi nè liquidi, per i
quali la cancellazione fonda una presunzione di abbandono; - sul
piano processuale, la cancellazione emersa in corso di giudizio (là
dove, in caso di mancata dichiarazione o notificazione dell’evento
estintivo deve operare il regime di stabilizzazione ed ultrattività del
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mandato come successivamente chiarito da Cass. SU n. 15295/2014)
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non comporta la chiusura anticipata del processo per cessazione della
materia del contendere e la necessità di un nuovo giudizio nei
confronti del socio, bensì una causa di interruzione del processo ex
artt. 299 segg. cod.proc.civ.; - ricorre in proposito l’art. 110
cod.proc.civ. (che richiama il venir meno della parte processuale non
solo per morte ma anche per ‘altra causa’) e non l’art. 111
cod.proc.civ. (non essendoci trasferimento a titolo particolare di un
determinato rapporto o diritto).
Precisavano poi le Sezioni Unite che: “Il successore che risponde
solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere
un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse
rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie
ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito
dell'interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe
avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad
esempio in funzione dell'escussione di garanzie) ma non sulla
legittimazione passiva del socio medesimo”.
Pertanto, quella di cui all'articolo 2495 secondo comma (percezione
di somme di liquidazione nelle società di capitali) è condizione
dell'azione inerente non alla legittimazione passiva (ad causam) bensì
all'interesse ad agire, con la precisazione però che la mancata
percezione di somme di per sé non esclude l'interesse ad agire del
creditore sociale in vista, ad esempio, dell'escussione di garanzie o
della sopravvenienza di beni destinati a confluire in un regime di
contitolarità o comunione indivisa. E vertendosi appunto di
condizione dell'azione, in caso di contestazione è il creditore sociale
che agisce a dover provare tanto la veste di ex socio del convenuto
quanto il presupposto di cui all'articolo 2495 secondo comma.
§ 2.2 Come affermato dalla assolutamente prevalente giurisprudenza
successiva – con orientamento che va qui ulteriormente ribadito – a
seguito dell’estinzione della società, il socio (ex-socio) è successore
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per il solo fatto di essere tale e non perché abbia ricevuto quote di
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liquidazione; ed il carattere universale della sua successione non è
contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto
percepito.
Certo, non si tratta di estendere tout court alla fattispecie della
successione alla società estinta i principi propri della successione alla
persona fisica defunta, e già le Sezioni Unite del 2013 sentirono la
necessità di concettualmente respingere, in materia, “improprie
suggestioni antropomorfiche”. La radice della responsabilità dell’ex-
socio nell’originario contratto sociale, la sussistenza iniziale e
statutaria di un regime di responsabilità limitata (come nelle società
di capitali), la volontarietà e discrezionalità dell’evento estintivo,
rappresentano – tutte – emergenze tipiche del fenomeno societario,
tali da giustificare l’adozione di un paradigma di tipo successorio ma,
come osservato dalle Sezioni Unite, pur sempre ‘sui generis’. In modo
tale che, a tacer d’altro, mentre il successore della persona fisica può
evitare di esporre il proprio personale patrimonio alla responsabilità
per i debiti del de cujus non accettando l’eredità, ovvero accettandola
con beneficio d’inventario, non altrettanto può fare l’ex-socio il quale
risponderà in ogni caso appunto perché socio, sebbene nei limiti di
quanto percepito nella liquidazione.
E ciò si spiega con il fatto che la legittimazione dell’ex socio quale
soggetto responsabile per i debiti societari residui discende appunto,
se non proprio dall’adempimento, quantomeno in conseguenza del
rapporto sociale al quale egli diede volontariamente corso, posto che:
“il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività
giuridica dell'ente collettivo fa naturalmente emergere il sostrato
personale che, in qualche misura, ne è comunque alla base e rende
perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini
successori” (SU cit.).
Si condivide e riafferma, dunque, quanto osservato da Cass.n.
9672 del 19 aprile 2018 (in fattispecie tributaria, ma sulla base di
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considerazioni di valenza generale) la quale, dichiaratamente
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discostandosi da alcune pronunce di segno contrario (Cass., 23
novembre 2016, n. 23916; Cass., 26 giugno 2015, n. 13259; Cass.
31 gennaio 2017, n. 2444) e ponendosi invece in linea con altre
statuizioni più aderenti alle Sezioni Unite del 2013 (tra cui Cass. 7
aprile 2017, n. 9094; Cass. 16 giugno 2017, n. 15035) ha escluso
che gli ex soci possano ritenersi subentrati nella posizione debitoria
solo se abbiano riscosso quote di liquidazione e, inoltre, che
l'accertamento di tale circostanza costituisca presupposto della
assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e,
correlativamente, della sua legittimazione ad causam ai fini della
prosecuzione del processo.
Sempre nel solco tracciato nel 2013, va poi qui ancora ribadito
che il fatto consistente nella percezione di somme rinvenienti dal
bilancio finale di liquidazione non funge soltanto da misura o tetto
massimo dell’esposizione debitoria del socio (“fino alla concorrenza”,
come si legge nell’art. 2495 cod.civ.), ma attiene, in effetti, anche ed
in primo luogo ad una condizione dell’azione, come tale demandata
alla prova della parte attrice: quella però non della legittimazione ma
dell’interesse ad agire.
Neppure la Dottrina ha mancato di porre in luce come attribuire la
percezione di somme liquidatorie alla sfera della legittimazione dell’ex
socio finirebbe anzi con contraddire lo stesso assunto di universalità
della successione, atteso che il successore che sia tale solo se
qualcosa effettivamente acquista è il successore a titolo particolare,
non quello a titolo universale, il quale succede nel patrimonio
dismesso quand’anche questo sia formato da soli debiti; e ciò
indipendentemente dal fatto che la sua responsabilità patrimoniale
possa poi farsi valere solo entro un determinato ammontare. Il
risultato è che l’ex socio è sempre successore della società estinta, in
quanto tale e non in quanto percettore di somme.
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Si è detto come le Sezioni Unite abbiano tuttavia ricordato che il
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creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del
proprio diritto nei confronti del socio pur in assenza di riparto di
liquidazione a favore di questi, come nel caso, che le stesse Sezioni
Unite hanno considerato, di escussione di garanzie di terzi, ovvero di
diritti e beni che, per quanto non compresi nel bilancio di liquidazione
della società estinta, siano ad esso attribuiti in regime di contitolarità
o comunione indivisa.
E questa impostazione ha trovato anch’essa plurime conferme
successive (v. Cass.n.9094 del 7 aprile 2017 cit.; Cass.n. 2 del 4
gennaio 2022; Cass.n.22692 del 26 luglio 2023; Cass.n. 8633 del 2
aprile 2024 ed altre), in base alle quali il limite di responsabilità dei
soci di cui all'art. 2495 cod.civ. non incide sulla loro legittimazione
processuale ma, al più, sull'interesse ad agire dei creditori sociali:
“interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i
soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale,
potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non
ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono
trasferiti ad essi”.
Così Cass.n.15035 del 16 giugno 2017 cit., secondo cui: “La
possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la
possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non
consentono, dunque, di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi
un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura
dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni
statiche allo stato degli atti”; affermazione, quest’ultima, ripresa
anche da Cass. SSUU n.26283 del 6 settembre 2022 in tema di
impugnazione di estratto di ruolo e già ribadita, in sede di riparto di
giurisdizione, anche da Cass. SSUU n.619 del 15 gennaio 2021.
Le conclusioni sul punto appaiono dunque consolidate.
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§ 3.1 Il sistema fin qui delineato non è perfettamente trasponibile
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nell’ambito dell’accertamento della responsabilità per debiti di
imposta.
Talune deviazioni rispetto a quanto sin qui osservato sono
necessitate dalla struttura stessa dell’obbligo tributario come
riscontrabile in fattispecie tipiche, così nel caso delle imposte sui
redditi nelle società personali, in cui non si pone tanto un problema di
successione del socio alla società estinta, quanto di imputazione
diretta ad esso, per trasparenza, dell’obbligo tributario (art. 5 d.P.R.
917/86); ma al di là di regimi particolari, il fulcro dell’autonomia del
sistema tributario rispetto all’impianto codicistico si individua in via
generale nell’art. 36 d.P.R. n. 602/73 (disciplina della riscossione
delle imposte sul reddito, ma poi estesa anche all’Iva ed alle altre
imposte indirette), cosa di cui parvero del resto consapevoli già le
Sezioni Unite del 2013 allorquando richiamarono espressamente, esse
stesse, la specialità, rispetto al ragionamento che andavano
svolgendo, del settore tributario.
Ebbene, l’art. 36 cit., intitolato alla responsabilità ed agli obblighi
degli amministratori, dei liquidatori e dei soci, stabilisce che: “1. I
liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche
che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della
liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione
medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento
delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari
anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di
avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale
responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che
avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. 2. La
disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli
amministratori in carica all'atto dello scioglimento della società o
dell'ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori. 3. I soci
o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di
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imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni
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sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in
assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della
liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute
dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi,
salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del
denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume
proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal
socio od associato, salva la prova contraria. 4. Le responsabilità
previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che
hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta
precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero
hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle
scritture contabili. 5. La responsabilità di cui ai commi precedenti è
accertata dall'ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai
sensi dell'art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600. 6. Avverso l'atto di accertamento è
ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso
tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 636. Si applica il primo comma dell'articolo 39”.
La norma delinea due diverse ipotesi di responsabilità per debiti di
imposta della società.
La prima (già prevista dall’art. 265 del previgente TU Imposte
Dirette di cui al d.P.R. n.645 del 1958) concerne i liquidatori che non
abbiano pagato le imposte del periodo della liquidazione o dei periodi
antecedenti (salva la prova del pagamento, con le attività di
liquidazione, di crediti di rango superiore), e gli amministratori (tanto
quelli in carica al momento dello scioglimento della società, avvenuto
senza nomina dei liquidatori, quanto quelli che abbiano compiuto, nel
corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in
liquidazione, operazioni di liquidazione ovvero abbiano occultato
attività sociali). Questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come
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la fattispecie si ponga al di fuori di qualsiasi fenomeno di successione,
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continuità o co-obbligazione con la società, vertendosi piuttosto di 12/02/2025
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beni loro assegnati. Pur non trattandosi né di una responsabilità ex
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lege per inadempimento o fatto illecito (diversamente quindi da
quella, su base organica, che si è visto attingere i liquidatori e gli
amministratori), né di una responsabilità di tipo successorio ex art.
2495 cod.civ., al pari di quest’ultima la responsabilità in esame
ingenera in capo al socio l’obbligo di pagamento di un debito della
società sul solo presupposto obiettivo, e nei limiti, della percezione di
attività sociali in fase di liquidazione (o anche, con previsione
ampliativa rispetto alla disciplina civilistica, nelle due annualità
d’imposta antecedenti). Va inoltre considerato che lo stesso art. 36,
co. 3^ fa espressamente salve “le maggiori responsabilità stabilite dal
codice civile”, con ciò implicitamente ma univocamente richiamandosi
alla portata generale dell’attuale art. 2495 cod.civ., e che in entrambi
i casi in cui il socio venga richiesto dal Fisco del pagamento delle
imposte già gravanti sulla società cessata (“La responsabilità di cui ai
commi precedenti (…)”) è necessaria la notificazione nei suoi
confronti di avviso di accertamento, con possibilità di impugnazione,
secondo le regole generali, ex artt.19 e 21 d.lgs. 546/92.
§ 3.2 Orbene, è proprio la necessità - in ogni caso in cui venga
invocata, a titolo vuoi successorio vuoi sussidiario, la responsabilità
dell’ ex socio per il debito d’imposta della società - di attivazione nei
suoi confronti di un autonomo ed originario procedimento
amministrativo di accertamento (necessità, del resto, che non
costituisce una stravaganza di sistema, discendendo piuttosto essa,
de plano, dalla natura pubblicistica dell’obbligazione tributaria e dal
carattere autoritativo del relativo accertamento) che impedisce il
pieno e totale dispiegarsi di quella successione nel processo di cui
danno conto le Sezioni Unite del 2013.
Una volta escluso che, per effetto della cancellazione, si verifichi
tanto l’estinzione (espropriativa) del debito sociale quanto l’estinzione
del processo pendente, il ricorso alla soluzione successoria ex art.
110 cod.proc.civ. risponde a ragioni di economia processuale e di
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tutela del creditore sociale, così da risparmiargli la necessità “di dover
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riprendere il giudizio da capo con maggiori oneri e col rischio di non
riuscire a reiterare le prove già espletate” (SU cit.).
Ora, è vero che un’esigenza del tutto analoga si pone anche nel
caso di cancellazione della società in pendenza del giudizio tributario,
ipotesi nella quale parimenti può soccorrere tanto la disciplina
dell’interruzione del processo per venir meno, per morte o altra
causa, della parte contribuente ex art. 40 d.lgs. 546/92, quanto
quella della sua prosecuzione da parte o nei confronti dei soci-
successori ex art. 110 cod.proc.civ..
Tuttavia, plurimi elementi escludono che in questa fase di
prosecuzione si possano introdurre questioni diverse, oltre che dalla
effettiva sussistenza del debito tributario della società, dalla
legittimazione dei soci; quest’ultima a sua volta articolata soltanto
intorno alla avvenuta cancellazione della società ed alla effettiva
veste di soci dei soggetti subentrati.
Quindi, nel giudizio già pendente nei confronti della società non
potrà trovare ingresso – in particolare – la questione della avvenuta
percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci,
tema, come detto, estraneo alla legittimazione ed invece suscettibile
di essere dedotto nel (diverso) giudizio che potrà originarsi a seguito
della notificazione ai soci stessi di autonomo e distinto atto impositivo
ex art. 36 co. 5^ cit. (la cui motivazione dovrà evidentemente farsi
carico di questo aspetto quale ragione giuridica e presupposto
fattuale della pretesa così ad essi per la prima volta indirizzata). Per
regola generale, oggi anche sancita dall’art. 7 co. 5 bis d.lgs. 546/92,
è pertanto in questa sede che il Fisco – attore in senso sostanziale -
dovrà allegare e provare la responsabilità dei soci nei limiti di quanto
da costoro percepito.
D’altra parte, già Cass. SSUU n. 619/21 cit. ha precisato che la
controversia sorta dall'impugnazione di un avviso di accertamento
notificato agli ex soci di una società cancellata dal registro delle
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imprese, con cui sia stata dedotta l'insussistenza, nel caso concreto,
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della responsabilità dei soci per i debiti tributari della società sul
presupposto della mancata riscossione di somme in base al bilancio
finale di liquidazione, ai sensi dell'art. 2495 c.c., è devoluta alla
giurisdizione tributaria, atteso che un simile motivo di impugnazione
ruota pur sempre “intorno alla postulata illegittimità o inesistenza
della pretesa fiscale azionata dall'ufficio nei confronti dei soci della
società estinta, che deve formare oggetto di esame da parte del
giudice naturale di quel rapporto, costituito dal giudice tributario”.
Una diversa soluzione, oltre a porsi in contrasto con il chiaro
dettato dell’art. 36 d.P.R. n. 602/73 che richiede in ogni caso
l’instaurazione di un nuovo procedimento amministrativo di
imposizione nei riguardi dei soci, verrebbe a collidere sia con la
struttura (anche e principalmente) impugnatoria – non di mero
accertamento - del processo tributario ex art. 19 e 21 d.lgs. 546/92,
sia con il, correlato, divieto di ampliarne il petitum e la causa petendi,
come resi intangibili (salva l’ipotesi dei motivi aggiunti ex art. 24
d.lgs.cit., peraltro giustificata dalla sola sopravvenienza documentale
e comunque anch’essa vincolata alla specifica pretesa inizialmente
dedotta in giudizio, e non ad altra) dal compendio costituito dall’atto
impositivo e dalle ragioni di opposizione contro di esso inizialmente
mosse.
Né sarebbe utilmente invocabile la natura non esclusivamente
impugnatoria del processo tributario, ma anche di definizione nel
merito del rapporto dedotto. Sul punto, si è innumerevoli volte
affermato che il processo tributario è annoverabile tra quelli di
‘impugnazione-merito’, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva
sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell'accertamento
dell'Ufficio, con la conseguenza che qualora il giudice tributario
ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi non formali, ma di
carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l'atto impositivo,
ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una
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motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla
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corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (v., tra le 12/02/2025
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in questo contemplate, che venga attivato l’art. 2495, secondo
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comma, cod.civ.. Data pubblicazione 12/02/2025
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una volta resosi definitivo il titolo nei confronti della società (per
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mancata opposizione, estinzione del processo ovvero giudicato) il 12/02/2025
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piuttosto, in segno contrario, sia il dato normativo di cui all’art. 36 co.
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5^ cit. che mostra (peraltro, si è detto, in accordo con principi di
ordine generale) di accomunare le due ipotesi di responsabilità nella
necessità di notificazione all’ex socio di un nuovo e distinto atto di
accertamento, sia la sostanziale ‘novità’, che certo forma materia a se
stante di accertamento pur dopo l’iscrizione a ruolo del debito nei
confronti della società, rappresentata dalla condizione dell’avvenuta
percezione di quote o attività liquidatorie, sia – ancora – il fatto che
quest’ultima condizione opera, oltre che come dimensione economica
dell’esposizione personale, quale elemento costitutivo, non
impeditivo, della fattispecie di loro responsabilità ex art. 2495
cod.civ., così da dover essere provata dal creditore-Fisco e non (la
sua assenza) dall’ex socio in fase riscossiva.
E’ vero che si tratta, quello notificato all’ex socio, di un atto di
accertamento che già contiene l’indicazione di un credito non più
contestabile nella sua oggettività, ma l’esigenza che tale credito
venga legittimamente imputato ad un soggetto pur sempre diverso
(appunto l’ex socio) rispetto al contribuente che ad esso ha dato
origine (la società) dimostra comunque la permanenza in esso di un
sostrato prettamente pretensivo che si palesa per la prima volta,
seppure limitatamente al risvolto soggettivo di responsabilità; non
sarebbe dunque del tutto esatto ravvisare nella specie un
accertamento senza imposizione, come tale surrogabile dalla cartella.
§ 3.3 Certamente rilevante a fini ricostruttivi, ma non dirimente, pare
poi il riferimento, pure contenuto nell’ordinanza di rimessione, all’art.
28 d.lgs. n. 175/14 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi
precompilata), il cui co. 4^ stabilisce: (…) “Ai soli fini della validità e
dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e
riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione
della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto
trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle
imprese”.
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Questa previsione, da un lato, legittima espressamente, a sua
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volta, l’innesto in ambito tributario della disciplina codicistica generale
di cui all’art. 2495 ma, dall’altro, ne opera una evidente forzatura
instaurando una finzione legale di mantenimento in vita della società
(evocatrice di quella posta dall’art. 10 legge fall.) seppure ai soli fini
della definizione dei rapporti fiscali pendenti, in sede non solo
amministrativa ma anche contenziosa.
Essa è stata vagliata da questa Corte - ed anche dalla Corte
Costituzionale che ha affermato la sua legittimità ex artt. 3 e 76
Cost.: sent. n. 142/20 - la quale ne ha rimarcato la natura
sostanziale e non interpretativa, così da escluderne l’efficacia
retroattiva, cioè la sua applicabilità nei confronti di società estintesi
prima del 13.12.2014, data di sua entrata in vigore (nella specie la
norma non è dunque applicabile, posto che tanto la cancellazione di
Simpra srl dal registro delle imprese, quanto la proposizione
dell’appello dell’Agenzia delle Entrate sono antecedenti a questa
data).
La previsione deroga – nei soli riguardi delle posizioni debitorie
indicate e delle relative Amministrazioni creditrici – al principio per cui
la società cancellata dal registro delle imprese non può agire né
essere convenuta in giudizio, in quanto priva della relativa capacità
(Cass. 9/10/2018, n. 24853; Cass. 19/12/2016, n. 26196); né,
pertanto, può sussistere in questi casi la legittimazione dell’ex
liquidatore a rappresentarla (Cass. 11/06/2011, n. 5637; Cass.
23/03/2016, n. 5736).
Sul tema si riscontra un fermo indirizzo interpretativo, secondo cui
la norma non si limita a prevedere una posticipazione degli effetti
dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare all’Ufficio la
notificazione dell’atto impositivo (altrimenti giuridicamente
inesistente, se eseguita nei confronti di società già cancellata: Cass.n.
6743/15; n. 20961/21 ed altre), ma permette all’ex liquidatore di
“conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano
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sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini
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indicati dall'art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non Data
potrebbe
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quinquennio, riprendere pieno vigore la disciplina anche processuale
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come detto rinveniente dall’art. 2495 cod.civ.), ma anche e
soprattutto perché intatta resta, per il creditore pubblico, l’esigenza di
far valere, con l’avvio di nuovo e diverso procedimento
amministrativo di accertamento ex art. 36 cit., la responsabilità
patrimoniale degli ex soci nei limiti delle attività sociali da costoro
riscosse.
Per il che vale quanto poc’anzi argomentato.
§ 4. Tirando le fila del discorso, a fronte dei dubbi sollevati
dall’ordinanza di rimessione – per vero ingenerati non tanto da un
conclamato contrasto di orientamenti quanto da talune incertezze
insite nell’adattamento all’ambito tributario di un assetto ricostruttivo
già consolidatosi in quello civilistico – va stabilito che:
• nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente
responsabili per il debito tributario della società estintasi per
cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto
dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di
liquidazione, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod.civ.,
integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria
personale dei soci, una condizione dell’azione attinente
all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci
stessi;
• questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente
essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai
soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di
apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione,
fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione
finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione
di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale
interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e
diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano
trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie;
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• la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in
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base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento
che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi
direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n.
602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione
introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa
originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi
proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione
dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali
successori della società stessa.
§ 5. Da quanto così affermato discende l’infondatezza dei primi tre
motivi del ricorso per cassazione.
La Commissione Tributaria Regionale, riformando la prima
decisione, ha affermato che: - correttamente l'Agenzia delle Entrate
aveva chiamato in giudizio gli ex soci della società nelle more
cancellata dal registro delle imprese e nei confronti della quale,
soltanto, era stato emesso l'atto impositivo impugnato; - la qualità di
parte assunta dai soci nel procedimento discendeva dal fenomeno di
tipo successorio derivante dall'estinzione della società, con
conseguente loro legittimazione attiva e passiva ex articolo 110
cod.proc.civ.; - tutte le questioni diverse dalle contestazioni mosse
contro l'avviso di accertamento notificato a Simpra srl liq. per l'anno
2006 (quali, segnatamente, il limite della responsabilità personale dei
soci per le somme portate dall'avviso in esame) esulavano dalla
materia del contendere, trattandosi di problematiche destinate ad
essere eventualmente dedotte in un diverso procedimento
amministrativo o giurisdizionale di accertamento, direttamente ad
essi relativo.
E’ quindi di tutta evidenza come si tratti di una decisione
pienamente in linea con l’indirizzo tracciato, e non scalfita dalle
doglianze mosse dagli Zara.
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Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360 co. 1^ n.4)
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cod.proc.civ., il mancato rilievo del fatto che l’Agenzia del Territorio
non avesse allegato (come rilevabile anche d’ufficio, e pure nel
giudizio di legittimità) alcun valido profilo di interesse concreto ed
attuale ad agire nei confronti dei soci ex art. 100 cod.proc.civ.; tale in
particolare non essendo quello riferito all’asserita esistenza di un
credito sociale per rimborso Iva in ipotesi opponibile in
compensazione al controcredito qui dedotto dall’Amministrazione.
Credito sociale che farebbe capo ad un soggetto ormai estinto e che,
ad ogni buon conto, non era stato pretermesso, ma debitamente
inserito nel bilancio finale di liquidazione.
Valgono per questa doglianza gli argomenti più volti spesi, nel
senso che l’esistenza di utilità e residui liquidatori idonei ad integrare
l’interesse ad agire del Fisco costituisce elemento della fattispecie di
responsabilità dei soci e non della società, così da non poter aver
ingresso, come esattamente argomentato dalla Commissione
Tributaria Regionale, nel presente giudizio.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso – suscettibili di trattazione
unitaria perchè entrambi concernenti, ex art.360 co. 1^ nn.3) e 4)
cod.proc.civ., il mancato rilievo da parte della Commissione Tributaria
Regionale della radicale inammissibilità dell’appello siccome
dall’Agenzia proposto nei confronti dei soci in difetto dei requisiti di
legge (percezione di somme liquidatorie) - lamentano la violazione e
falsa applicazione delle medesime norme (artt. 110 cod. proc. civ. e
1, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992 con riferimento agli artt.
2495, comma 2, cod. civ. e 36, comma 3, del d.P.R. n. 602/1973),
considerate nei loro effetti, rispettivamente, processuali (secondo
motivo, con affermazione di nullità della sentenza e dell’intero
procedimento) e sostanziali (terzo motivo).
Contrariamente a quanto sostenuto con le censure in esame, la
decisione della Commissione Tributaria Regionale di ritenere
correttamente instaurato l’appello nei confronti direttamente dei soci,
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pur non essendo essi parte del primo grado, risulta conforme a
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diritto, vertendosi di una fattispecie di tipo successorio ex art. 110
cod.proc.civ. nella quale i soci erano stati evocati in giudizio
dall’Agenzia in quanto a ciò doppiamente legittimati – in un contesto
di pacifica inapplicabilità, ratione temporis, dell’art. 28, co. 4^
d.lgs.175/14 – sia ex art. 2495 2^ co. cod.civ. sia ex art. 36 co. 3^
d.P.R. n. 602/73.
Quanto poi alla specifica contestazione per cui l’Agenzia appellante
non aveva contestualmente dimostrato anche la personale
responsabilità dei soci in relazione ai debiti erariali già facenti capo
alla società estinta per effetto e nei limiti della riscossione o
assegnazione a loro favore delle somme o dei beni, sarà sufficiente
rinviare a quanto finora osservato in ordine al fatto che nel giudizio di
appello in esame: - rilevava unicamente la legittimazione degli Zara
quali soci di Simpra srl estinta (circostanze fattuali, queste,
incontestate); - non contava, per contro, la circostanza dell’effettiva
percezione di somme dalla liquidazione, perché estranea tanto
all’oggetto del contendere come definitivamente consolidato sulla
base dell’atto impositivo e del ricorso originario (debito Ires ed Iva di
Simpra srl per l’anno 2006), quanto alla legittimazione passiva dei
soci che di Simpra srl erano successori pur nell’eventuale difetto di
qualsivoglia riscossione o riparto. Del resto, il fatto che gli Zara siano
tuttora ammessi, in diversa sede, a lamentare la mancata percezione
di somme, se e quando verranno attinti da avviso di accertamento ad
essi partitamente rivolto ex art. 36 co. 5^ cit., esclude il maturare di
qualsivoglia preclusione o menomazione del loro diritto di difesa, e ciò
quand’anche essi nulla avessero eccepito, sul punto, nel presente
procedimento, dedicato in via esclusiva all’accertamento del debito
della società contribuente.
Ne segue, in definitiva, il rigetto di questi primi tre motivi, con
restituzione degli atti alla Sezione Tributaria per il vaglio delle ulteriori
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doglianze relative alla fondatezza dell’avviso, e per la liquidazione
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delle spese di lite tenuto conto anche della presente fase processuale.
PQM
La Corte
- rigetta il primo, secondo e terzo motivo di ricorso;
- restituisce gli atti alla Sezione Tributaria per la decisione sui
restanti motivi e la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili in data
12 novembre 2024.
Il Consigliere estensore
Giacomo M. Stalla
Il Presidente Aggiunto
Pasquale D’Ascola
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