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3 Tecniche Fisioterapiche Ricci

Tecniche fisioterapia

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Tecniche fisioterapiche – Ricciardelli – Lezione 3

Affronteremo il discorso legato al sistema nervoso periferico partendo da quella che è una patologia di cui
l’80% delle persone soffre almeno una volta nella vita:
IL LOW BACK PAIN
È il classico mal di schiena e nel 90-95% dei casi è aspecifico, cioè non ascrivibile a una determinata causa;
questo anche perché col tempo, grazie alla ricerca, si sono modificate tante credenze legate soprattutto al
binomio danno strutturale-dolore (ad esempio la correlazione diretta tra un’ernia del disco e dolore alla
schiena; in realtà le ultime evidenze scientifiche non ci dicono questo).
Le evidenze ci dicono che il modo migliore per prevenire avviene attraverso il movimento e l’esercizio ben
condotto; addirittura ci dice che per curare il LBP è sbagliato ciò che viene fatto da sempre, ovvero il riposo,
né tantomeno i trattamenti passivi come 10 TENS, 10 ultrasuoni, massaggi o 10 TECAR (e sulle TECAR si apre
un altro spiraglio, in quanto esiste un solo articolo scientifico spagnolo che non dà nemmeno grossi risultati,
però la TECAR ha avuto un forte impatto sul mondo sportivo, da Cristiano Ronaldo a Djokovic alla
riabilitazione ambulatoriale; ciò non vuol dire che la TECAR non serva a niente, ma ad oggi la letteratura dice
questo; magari nel momento in cui stiamo parlando sta uscendo un articolo che dice che su dei case-report
di 5000 persone ha dato risultati).
In realtà il gold standard per il trattamento del LBP è il trattamento attivo: l’esercizio terapeutico. Uno stile
di vita attivo e una costante attività fisica possono prevenire il mal di schiena negli adulti e addirittura nei
bambini. In alcuni casi però non c’è bisogno di debellare tutto ciò che è passivo o il riposo, soprattutto nelle
fasi fortemente acute, in cui il riposo ha il suo perché. Anche nei programmi di riadattamento o di
allenamento alla forza il riposo ha il suo perché (soprattutto il sonno notturno è importante ai fini del
recupero da un infortunio); potrebbe essere una prima fase verso il percorso rieducativo.
È chiaro che non deve durare tanto perché, come i farmaci, anche questi trattamenti passivi o il riposo
prolungato e l’inattività comportano effetti collaterali. In particolare la ricerca ci dice che una riduzione della
richiesta funzionale alla schiena (considerando che la colonna vertebrale è stata costituita per sollevare pesi,
per muoverci, per aiutarci a mantenere la postura) genera un calo del trofismo della muscolatura a cui si
associa (e ciò ce lo dice Peter O ‘Sullivan che è un ricercatore australiano che si è molto occupato della
ricerca in ambito LBP e core stability) un aumento del grasso corporeo, e ciò crea la base per andare a
determinare centinaia di sostanze pro-infiammatorie; si genera quindi un circolo vizioso che mantiene
costante il dolore nella zona lombare.
Al contrario, il movimento stimola la vascolarizzazione con apporto quindi di più sostanze nutritizie,
ossigeno e con lo smaltimento delle sostanze pro-infiammatorie e infiammatorie. Le linee guida dei fisiatri
e medici di base sono 113 pagine in cui si dice che l’indicazione fondamentale è ridurre al minimo il riposo e
mettersi il prima possibile in movimento sia nella fase acuta che in quella cronica.
Nonostante ci siano ricerche dal 1983 che ci dicono ciò, ad oggi si continuano ad utilizzare (anche nei centri
ambulatoriali di fisioterapia) i trattamenti passivi. Oppure era comune che ai bambini con scoliosi o dolore
alla schiena durante la fase di accrescimento si consigliasse di fare nuoto oppure la palestra come panacea di
ogni male. In realtà con il rinforzo muscolare non passa tutto. Diciamo che in ottica preventiva, se non ho
problemi strutturali o alterazioni evidenti, se lavoro in maniera simmetrica sicuramente ottengo dei benefici;
d’altro canto, se ho problemi strutturali, zone deficitarie (scoliosi, cifoscoliosi, inclinazione laterale dovuta a
contratture, deformità strutturali) non ottengo altro che la stabilizzazione di queste alterazioni. Ecco perché
il nuoto, come citava un articolo, fa male alla schiena. Il soggetto quindi va prima rieducato, riequilibrato.
-Cosa significa riequilibrare?
Significa modificare e correggere, somministrando un lavoro differenziato attraverso l’esercizio terapeutico.
L’esercizio terapeutico, secondo l’American Medical Association (che si occupa del sistema di fatturazione, in
quanto l’America ha un sistema sanitario privato) e la sua Current Procedural Terminology, è tale quando il
paziente viene istruito ad eseguire esercizi specifici rivolti alla debolezza, perdita di mobilità articolare,
recupero della resistenza e della stabilizzazione, a seguito di una malattia o una lesione con uno stato di
sofferenza. La definizione è stata presa dalla letteratura scientifica. Si tratta di un compito cognitivo-motorio
per superare una specifica disfunzione efficace per trattare i segni e i sintomi della condizione. Naturalmente
va prescritto come un farmaco, con specificità, utilizzando dosi ben definite in base alla persona e alla
disfunzione.
-L’esercizio terapeutico è uguale all’attività terapeutica?
No. Nell’esercizio ci sono una serie di pattern motori che vado a chiedere per riequilibrare; l’attività
terapeutica invece è la produzione di attività legate alle ADL, nel senso che si utilizzano compiti dinamici e
funzionali tratti dalla vita quotidiana per migliorare il ROM e la forza. Ad esempio, un esercizio terapeutico è
la flesso estensione in quadrupedia, che però, nonostante sia un esercizio importantissimo per il LBP, non
rappresenta un’attività terapeutica perché non lo si riproduce nella vita quotidiana (perché non
camminiamo a quattro zampe). Al contrario invece riprodurre un’attività di sollevamento di un oggetto da
terra assume la caratteristica di attività terapeutica perché va a riprodurre una attività della vita quotidiana.
L’esercizio terapeutico agisce sul dolore perché determina ipoalgesia e riduzione della formazione temporale
degli stimoli nocicettivi determinando una riduzione della percezione. Allo stesso modo l’esercizio
terapeutico NON è l’esercizio in generale, perché quest’ultimo è legato al fitness, agli esercizi da palestra.
L’esercizio terapeutico è specifico. In linea di massima uno è rivolto ad una specificità patologica mentre
l’altro è legato a condizioni di autogestione. Bisogna fare una classificazione dei pazienti in modo da erogare
un determinato trattamento.
La ricerca nel tempo si è occupata di creare delle tabelle in modo da poterli classificare e una prima
classificazione ha individuato quattro sottogruppi: uno di mobilizzazione e manipolazione, uno di esercizio
specifico e direzione preferenziale (flessione, estensione o spostamento laterale), uno di stabilizzazione e
uno di trazione. Questo fu un sistema proposto da Delitto nel 1995; si è sicuramente evoluto, ma salta agli
occhi che era molto riduttiva come classificazione. Fu così che Fritz nel 2007 ripropone un altro tipo di
classificazione con le modifiche attuate. Altri autori poi nel tempo hanno criticato la tabella di Fritz perché
queste tabelle non consideravano quelli che sono gli aspetti bio-psico-sociali delle persone che soffrono di
mal di schiena. Tutte le critiche poi portano a una nuova classificazione che è un triage di primo accesso,
ovvero una selezione di primo accesso. Il paziente può essere indirizzato verso il management medico
quando ci sono disturbi di ordine neurologico e presenza di red flags, oppure a un management di tipo
riabilitativo o addirittura a un self-care, ovvero di autogestione. Se un paziente presenta quindi red flags o
disturbi di ordine neurologico bisogna indirizzarlo al medico specialista, senza effettuare alcun tipo di
trattamento.
Se il soggetto viene indirizzato a un management riabilitativo viene classificato in sottogruppi chiamati
“gruppi logici di intervento” (sono la modulazione dei sintomi, il controllo del movimento/stabilizzazione e
l’ottimizzazione funzionale). ESEMPI => 1) Se ho un soggetto che presenta un’alta disabilità, dei sintomi
volatili e un dolore da alto a moderato allora il trattamento sarà caratterizzato da esercizi di direzione
preferenziale, manipolazione, trazione ed esercizi attivi. 2) Se presenta una disabilità moderata ma con
sintomi stabili e dolore moderato/lieve avrò un trattamento soprattutto di stabilizzazione. 3) Se presenta
basso dolore e non vi sono alterazioni significative possiamo consigliare di andare a fare nuoto o palestra.
-Perché la classificazione è importante?
Perché la classificazione basata sul trattamento produce risultati migliori, e questo lo dice la scienza.
Fase 1 del percorso riabilitativo: bisogna cercare di gestire il dolore e ridurre i sintomi del paziente,
attraverso una modulazione della fisiologia neuromuscolare delle strutture plastiche proprie della colonna
lombare. Abbiamo visto che nei gruppi logici c’era il sottogruppo legato alla stabilizzazione, cioè dei pazienti
che richiedono una stabilizzazione. La stabilizzazione di per sé genera il dubbio che il paziente abbia una
atrofia muscolare, una debolezza muscolare, per cui necessita appunto della stabilizzazione. Sebbene possa
esistere un legame tra LBP e debolezza muscolare lombare la ricerca ha prodotto alcuni risultati contrastanti:
alcuni ricercatori segnalano differenze di forza tra soggetti asintomatici e quelli con il mal di schiena; altri
riferiscono modesta associazione. Studi recenti ci dicono che proprietà quali la resistenza muscolare,
l’equilibrio muscolare e il controllo neuromuscolare possono essere importanti nella massima forza
muscolare. La forza è nulla senza controllo. Non bisogna lavorare solo con programmi di forza ma anche con
programmi che sviluppano queste proprietà. Se ho una scarsa attività muscolare, in particolare dei muscoli
spinali, qualsiasi attività risulterà instabile; una schiena instabile facilmente può produrre dolore.
La biomeccanica ci dice che i muscoli erettori spinali forniscono la maggior parte della forza estensoria
necessaria per sollevare i carichi e per mantenere la stazione eretta. La rotazione invece è prodotta
principalmente dai muscoli obliqui e questi, assieme agli spinali, saltano le vertebre (vuole dire che le
inserzioni saltano le vertebre lombari); quindi, sono incapaci di stabilizzare nei movimenti i segmenti lombari
=> richiedono quindi una stabilizzazione.
Già da un'analisi e da una raccolta dei dati ne possiamo trarre degli elementi significativi necessari alla
classificazione dei pazienti del gruppo stabilizzazione.
Il primo approccio col paziente è legato sicuramente all’anamnesi: se questa ci dice che presenta frequenti
episodi del tipo che mentre camminava non ha visto il gradino del marciapiede ed è riuscito a mettere a
tempo il piede per non cadere ma da lì in poi ha iniziato a soffrire di mal di schiena (ALTRI ESEMPI => oppure
si è girato velocemente, dopo una settimana gli è passato ma dopo è successo che la mattina la sveglia ha
suonato in ritardo, andava di fretta, si è alzato velocemente dal letto e quindi da lì in poi è tornato il mal di
schiena in quella zona; può anche succedere che viene in studio e notiamo posizioni antalgiche legate a
episodi precedenti) si ha il percorso della stabilizzazione. Se a ciò aggiungiamo anche che nella nostra
tecnica palpatoria notiamo un’eccessiva mobilità al test di movimento intervertebrale passivo (che spiega
dopo) è chiaro che ci indirizziamo ancora di più verso il discorso della stabilizzazione. Altri autori invece
sottolineano la presenza di movimenti aberranti e l’arco doloroso durante il test attivo (queste due cose le
spiega dopo). Nel 2002, 2005 e in studi ripresi nel 2014 gli autori hanno studiato una regola di predizione
clinica, che ci permette di prevedere quali pazienti con LBP possono trarre beneficio dall’approccio di
trattamento rivolto alla stabilizzazione. Questa regola di predizione clinica prevede numerosi fattori: episodi
precedenti di LBP, in
particolare se il paziente ha meno di 40 anni e segnala che questi episodi avvengono con una frequenza più
breve; movimenti aberranti durante il ROM attivo; ipermobilità durante il test di movimento accessorio da
prono; sollevamento della gamba nello Straight Leg Raise oltre i 90 gradi; test positivo di instabilità da prono.
Movimenti aberranti
I movimenti aberranti avvengono quando al paziente in piedi vengono chiesti movimenti di flessione ed
estensione. Durante questi movimenti possono verificarsi delle aberrazioni appunto, soprattutto in flessione
o durante il ritorno dalla posizione flessa. È un movimento improvviso che può verificarsi al di fuori del
piano in cui il movimento è previsto, ad esempio il paziente può improvvisamente ruotare, eseguire
piegamenti laterali o entrambe le operazioni durante la flessione. Si può anche avere nel ritorno della
flessione l’atto dell’arrampicata => il paziente tenta di tornare alla posizione iniziale usando l’aiuto delle mani
poggiate sulle cosce per estendere la colonna. La presenza di movimenti aberranti e arco doloroso ci danno
una grossa indicazione alla stabilizzazione.
Arco doloroso
Per arco doloroso si intende la presenza di dolore nel mid range, ovvero nel medio raggio di movimento. Il
dolore, quindi, non è presente né all’inizio né alla fine del movimento. Può verificarsi in flessione, ritorno
dalla flessione o estensione da posizione neutra. Quindi i movimenti di sostituzione, l’arrampicata sulle cosce
e l’arco doloroso sono considerati segni di una classificazione di stabilizzazione che prevede l’esercizio
terapeutico.
Test di movimento accessorio passivo
Andiamo a ricercare attraverso questo test l’ipermobilità a qualsiasi livello della colonna lombare.
Esecuzione: col paziente prono andiamo sui processi spinosi delle vertebre lombari con i pollici ed
esercitiamo una spinta in direzione postero-anteriore unilaterale e trasversale. È possibile aggiungere in
alcuni casi anche il movimento antero-posteriore della colonna lombare col paziente in posizione supina.
Questi movimenti accessori vengono utilizzati sia come test che come trattamento => in un primo momento
rileva l’ipermobilità di un segmento: se noto una rigidità (ridotta mobilità) allora posso utilizzare questo test
per fini rieducativi. La posizione iniziale del paziente è prona, con braccia lungo i fianchi se è disteso al
lettino (si può posizionare anche con le gambe fuori dal lettino, con il tronco sul lettino, le gambe oltre il
bordo e i piedi appoggiati al pavimento). La posizione di partenza del fisioterapista consiste nell’esercitare
delle spinte grazie alla forza esercitata dal corpo: lo sterno è in direzione delle spinte in proiezione sopra le
mani, i pollici sono i punti di contatto, i gomiti sono rilassati ma stabili. Naturalmente il terapista è di lato al
lettino. Entrambi i pollici sono posti a contatto diretto l’uno con l’altro, adiacenti al processo spinoso, a livello
della lamina intervertebrale.
Applicazione delle forze: i movimenti sono riprodotti dal corpo del fisioterapista, andando a ricercare
l’ipermobilità.

Test di instabilità
Sempre da questa posizione (quindi prona totale o col tronco poggiato sul lettino) posso andare a svolgere il
test di instabilità, in cui si chiede al paziente di sollevare le gambe (il paziente si mantiene con le mani sul
lettino), che significa mettere in forte contrazione la muscolatura spinale. Questa si contrae stabilizzando il
segmento lombare; vado a riprodurre il test iniziale e se il paziente ora non ha più dolore e non ha più
l’ipermobilità di prima è una chiara indicazione per introdurre il
paziente nel gruppo logico di intervento legato alla stabilizzazione. Quindi, catalogare il paziente porta a
ottimi risultati.

Il trattamento
La prima cosa da fare è informare, quindi educare, il paziente. Bisogna fargli comprendere che il vissuto e
l’esperienza del suo dolore sono di natura benigna; quindi, va rassicurato verso una prognosi positiva. Gli
studi hanno dimostrato che non esiste (a meno di alterazioni neurologiche o casi gravi da red flags) una
correlazione diretta danno-sintomatologia. Non esiste un rapporto di causa-effetto tra il danno strutturale
biologico alla schiena e i sintomi del dolore sperimentati dal paziente. Sicuramente gli esami strumentali non
vanno debellati, anzi sono importantissimi e ci danno un’indicazione, ma allo stesso tempo dobbiamo
sapere che la maggior parte dei risultati dell’imaging sono utili se abbiamo importanti lesioni, ma gli studi
sostengono che sono addirittura dannosi da un punto di vista psicologico. Ciò è specificato da tutta una serie
di studi canadesi. Hanno fatto uno studio per ogni segmento del corpo umano e hanno visto che per la
colonna cervicale il 98% di uomini e donne SENZA dolore cervicale mostrava la presenza di cambiamenti
degenerativi dei dischi cervicali. Stessa cosa al ginocchio: l’85% degli adulti senza dolore avevano una
valutazione radiografica che evidenziava un’artrite del ginocchio. Non c’è quindi correlazione tra grado di
artrite visto all’imaging e dolore presente. Una degenerazione dei dischi della colonna lombare è presente
nel 40% degli individui sotto i 30 anni, sempre senza dolore; tra i 50 e i 55 anni arriva a più del 90% delle
persone. Un altro studio ha mostrato che tra i soggetti sani tra i 20 e i 22 anni il 48% presenta almeno una
degenerazione a un disco e il 25% ha una protrusione discale. I medici neurochirurghi dell’università della
California sconsigliano l’utilizzo di RM per il mal di schiena a seguito proprio di questi studi, perché possono
avere un grosso impatto dal punto di vista psicologico.
Il paziente va educato e informato. Va aiutato nel recuperare la sua autonomia e il movimento libero dal
dolore, rinforzando le sue convinzioni positive senza che ansia o paure possano ostacolare il recupero.
Questo va fatto facendo acquisire fiducia nel movimento al paziente. I fattori psicologici da tenere in
considerazione sono la paura del movimento e il catastrofismo.
Fattori psicologici
Abbiamo un paziente che ha consultato diversi medici e vieni da noi: il paziente presenta un’importante
discopatia e si potrebbe instaurare in lui la convinzione di non riprendersi più perché c’è un problema fisico
fisso. Quindi potremmo avere degli ostacoli al recupero:
- convinzione che il dolore sia dannoso o gravemente disabilitante;
- un comportamento di paura/evitamento (evita movimenti attivi per una spropositata ansia anticipatoria
del dolore);
- tendenza ad un basso tono dell’umore e ritiro dalla vita sociale;
- aspettativa che siano di maggior aiuto trattamenti passivi, piuttosto che una partecipazione attiva alla
terapia (coping passivo). (Ricordiamo che il coping riguarda tutte quelle strategie messe in atto da una
persona per fronteggiare problemi emotivi o interpersonali).
Queste sono tutte condizioni che creano un circolo vizioso legato ad un catastrofismo: che cosa succede?
Succede che spesso si affida a trattamenti passivi, cioè assume un comportamento passivo che è legato
all’assunzione di farmaci, oppure richiede trattamenti passivi (terapia fisica come, ad esempio, i massaggi) e
alla proposta di fargli sollevare dei pesi il sottolinea che si è fatto male con i
pesi e c’è il rischio di perdere il paziente, ma soprattutto di non ottenere il risultato.
Come possiamo evitare questo?
Informando il paziente che c’è una letteratura scientifica che ci informa che non abbiamo un danno
correlato a sollevare i pesi, e informare sempre che le ernie (le discopatie), a distanza di 6mesi/ 8mesi
oppure un anno, perdono la componente ibrida (perdono acqua) e quindi non hanno più quella fonte di
dolore sull’impronta durale. Se il paziente adotta un coping passivo si verifica (come ci diceva Peter O
’Sullivan) un ipotrofismo , ovvero un accumulo di grasso; quindi, si crea un substrato per mantenere
costante il dolore a livello lombare. Inoltre, ci potrebbe essere una catastrofizzazione, cioè il paziente
avverte dolore e può seguire due vie:
1) evitare l’evitamento (non muoversi, ha paura di fare passeggiate), cioè evita queste forme di attivazione
della muscolatura e quindi determina un disuso con ripercussioni sul tono dell’umore;
2) non ha paura di compiere movimenti, si sente sicuro di muoversi in certe situazioni e raggiunge il
recupero.
Programmi per la Stabilizzazione
Programmi per la stabilizzazione ce ne sono tanti. Sicuramente quello che dobbiamo tenere in
considerazione è il movimento attivo nei nostri programmi riabilitativi; bisogna quindi porre attenzione alla
gestione dei carichi e della fatica. Gestire i carichi, perché? È vero che bisogna favorire il movimento ma
bisogna evitare nella fase acuta la frequenza dei movimenti portati a ROM accentuati ed estremi, perché va
a sovraccaricare le strutte passive di stabilizzazione (corpi vertebrali, legamenti e i dischi vertebrali). La
schiena poi va rieducata per raggiungere il massimo ROM quando le strutture sono pronte; quest’ultime
possono essere di stabilizzazione segmentale (vedremo più avanti). Gestire la fatica, perché? La fatica
potrebbe avere un effetto negativo sull’impatto della capacità della muscolatura spinale di rispondere a
carichi imposti che possono compromettere la stabilizzazione.
Approccio
Dobbiamo utilizzare esercizi che vanno a stimolare la muscolatura stabilizzatrice senza imporre carichi
pericolosi. La stabilizzazione attiva avviene tramite il ricorso ai muscoli della colonna lombare, in particolare
il trasverso dell’addome, il gruppo degli obliqui interni ed esterni, gli erettori spinali, il multifido e il quadrato
dei lombi.
Come possiamo sollecitare i muscoli senza imporre grandi compressioni a livello discale? Nella parte
anteriore dell’addome abbiamo i retti dell’addome, lateralmente abbiamo gli obliqui e poi abbiamo il
trasverso dell’addome che funziona da chiusura della cavità addominale.
Quali funzioni hanno i retti dell’addome? A causa del loro orientamento parallelo alla linea mediana del
corpo hanno l’azione di flettere il tronco e di contenere i visceri. Per quanto riguarda gli obliqui hanno un
orientamento delle fibre più orizzontale che contribuisce alla stabilità spinale, aumentando la rigidità della
colonna lombare. Gli obliqui, insieme agli estensori, si contraggono durante i movimenti di estensione e
flessione laterale, e anche essi contribuiscono alla stabilità della colonna lombare. Il trasverso dell’addome è
il muscolo più profondo che presenta l’orientamento di fibre orizzontali, e aiutano maggiormente nella
stabilizzazione della colonna vertebrale andando a formare una sorta di cilindro rigido addominale.
L’azione del muscolo trasverso dell’addome legata alla stabilità è suggerita da una serie di studi: è stato
dimostrato che il trasverso dell’addome interviene nel meccanismo feed-forward durante i movimenti degli
arti; il feed-forward è il movimento anticipatore => ESEMPIO: Se Reielli va a giocare a calcio e gli sta
arrivando una palla dall’alto, lui si prepara a stopparla in un certo modo e poi a contrarre determinati
muscoli per mettere la palla a terra. I muscoli che si preparano in maniera anticipatoria vengono definiti
meccanismi a feed-forward. Che cosa succede? Che il trasverso dell’addome si contrae in maniera
anticipatoria quando si eseguono dei movimenti degli arti. Inoltre, nei soggetti senza LBP il trasverso
dell’addome si contrae prima del movimento delle estremità in preparazione al movimento. Nei soggetti con
dolore alla schiena il trasverso dell’addome non anticipa ma addirittura si contrae in ritardo; ecco perché
creo tutte le ipotesi per definire il muscolo trasverso dell’addome come muscolo importantissimo nella
stabilizzazione.
Come rieducare il trasverso dell’addome
Il muscolo trasverso dell’addome rispetto agli altri muscoli è più profondo ma possiamo sollecitare attraverso
la manovra di svuotamento addominale. Come viene fatta questa manovra? Bisogna far rientrare l’ombelico
verso la spina dorsale e verso l’alto (verso la testa). Vene chiesto al prof se questa manovra è come il Vacuum
addominale, il prof non sa cosa sia e risponde che la tecnica da lui citata ha lo scopo di rieducare solo il
trasverso dell’addome senza implicare altri muscoli mentre con il vacuum vengono implicati altri muscoli
oltre che il trasverso. La chiave di questa manovra è quella di isolare gli addominali profondi ed evitare la
sostituzione con il retto addominale.
Domanda: il meccanismo anticipatorio è legato ad una alterazione (il prof secondo me voleva dire
anticipazione della generazione dell’impulso nervoso). Durante un movimento esistono muscoli principali,
accessori, antagonisti e stabilizzatori. ES: Durante il movimento di abduzione ci sono dei muscoli che
stabilizzano, come le fibre medie del deltoide; anche in questo movimento esistono meccanismi anticipatori
ma è l’organismo che regola il tutto per far sì che avvenga il movimento. Nei soggetti con LBP i muscoli
superficiali sono maggiormente impegnati rispetto ai muscoli profondi, e questa condizione inficia sulla
stabilizzazione che in un soggetto con LBP va ad incrementare il dolore.
Manovra Di Svuotamento Addominale
Se l’obiettivo è quello di isolare la muscolatura profonda senza coinvolgere altri muscoli, la posizione più
idonea è quella quadrupedica, perché in questa posizione è più difficile contrarre i retti dell’addome e devo
cercare di far rientrare l’ombelico all’interno e verso l’alto. Inoltre, possiamo utilizzare un controllo a
feed-back, cioè per poter comprendere se effettivamente il trasverso dell’addome si sta contraendo
dobbiamo ricordarci origini e inserzioni di tale muscolo per poterlo palpare; quindi, se abbiamo un retto
dell'addome che va dalla sinfisi pubica al processo xifoideo e a livello dell’arcata costale, mentre il trasverso
dell’addome prende origine sulla spina iliaca anterosuperiore, dove non prende contatto il retto
dell’addome, posizionando le mie dita a livello della spina iliaca anterosuperiore riesco a capire se durante la
manovra si sta educando quel muscolo. Una volta che il paziente ha imparato ad educare il trasverso
dell’addome, gli chiediamo di effettuare tale manovra in diverse posizioni fino a raggiungere tante posizioni
della vita quotidiana. Questa manovra può essere eseguita anche durante l’esecuzione di alcuni esercizi
come l’esercizio del ponte che permette la stimolazione del grande gluteo; quest’ultimo muscolo si trova
spesso debilitato nei soggetti che soffrono di LBP.
Altri Muscoli Stabilizzatori
I muscoli addominali obliqui sono degli stabilizzatori e l’esercizio per andare a sollecitarli è il side plank che
determina un’attivazione dei muscoli addominali insieme al quadrato dei lombi, richiedendo una
contrazione volontaria abbastanza importante ma con bassa compressione spinale. Come si esegue? Il
paziente è nella posizione laterale con le ginocchia flesse e la parte superiore del corpo supportata dal
gomito; da qui solleva il bacino dal suolo e si può effettuare sia da un lato che dall’altro. Può presentare
dolore solo da un lato e quindi si inizia dal lato asintomatico e poi dal lato sintomatico; inoltre, si potrebbe
verificare un diverso grado di forza e di resistenza da un lato rispetto all’altro e anche in questo caso
dobbiamo cercare di riarmonizzare entrambi i lati. Questo esercizio va eseguito in maniera progressiva,
aumentando i secondi e il numero di ripetizioni ecc.…
Possiamo effettuare una progressione modificando le posture => ES: Estendendo le ginocchia e utilizzando le
caviglie come contatto distale, oppure utilizzare il side plank in concomitanza al movimento degli arti, o
anche effettuare il side plank su superfici instabili.
Stewart McGill
Il prof consiglia un libro per quanto riguarda i disturbi del low back pain che è quello di Stewart McGill,
ricercatore che si è occupato del mal di schiena e della stabilizzazione. Secondo McGill un esercizio
importantissimo è quello del “Bird Dog”, cioè un esercizio fondamentale per i muscoli estensori lombari che
riduce al minimo le compressioni a livello spinale. In particolare, McGill ha individuato tre fondamentali
esercizi che ha chiamato “The Big 3”: 1) Curl Up; 2) Supporto laterale plank; 3) Esercizio in quadrupedia-Bird
Dog. Secondo lo stesso autore, questi tre esercizi sembrano ottenere risultati migliori sulla disabilità e dolore
lombare rispetto alla convenzionale fisioterapia con esercizi generali.
Curl Up
Il curl up prevede vari step: 1) si fa sdraiare il paziente supino, si chiede di allungare una gamba e piegare il
ginocchio dell’altra gamba; 2) la mano della gamba distesa si posiziona nella parte bassa della schiena per
mantenere l’arco naturale lombare; 3) si invita il paziente a sollevare la testa, le spalle e il petto dal
pavimento; il sollevamento non deve essere con il mento che va a toccare lo sterno ma deve essere come se
fosse un’unica unità. È importante mantenere la schiena in posizione neutra, non piegare il mento e la testa
e mantenere la posizione per dieci secondi; 4) lentamente il paziente torna alla posizione di partenza. Questo
esercizio deve essere eseguito ad entrambi i lati.
Bird Dog
È un esercizio in quadrupedia; l’appoggio è sulle mani e sulle ginocchia e la larghezza degli arti superiori è
legata alla larghezza delle spalle in posizione perpendicolare al suolo. La colonna vertebrale viene
mantenuta in una posizione neutra e l’esercizio inizia allungando prima un braccio e poi allungando la
gamba controlaterale. La progressione dell’esercizio è quella di attivare i due movimenti
contemporaneamente (ES: braccio destro e gamba sinistra) e si mantiene la posizione per sedici secondi; la
cosa più importante è di mantenere la colonna vertebrale in posizione neutra. Possiamo inserire una
progressione di esercizi: entrambi gli arti superiori ed inferiori in maniera contemporanea, in maniera
opposta o simmetricamente; oppure eseguire la posizione definita “Superman” in posizione prona che mi
determina un alto grado di compressione a livello dei dischi intervertebrali e quindi andrebbe utilizzata solo
nella fase di recupero, in soggetti particolari come soggetti giovani atleti che hanno bisogno di raggiungere
un recupero massimale per poter svolgere le loro attività sportive.
Erettori Spinali e Multifido
I muscoli stabilizzatori della colonna lombare sono anche i muscoli erettori spinali. Tra questi muscoli
bisogna fare una suddivisione in due gruppi: i gruppi multi-segmentali legati agli erettori spinali e i muscoli
segmentali legati in modo particolare al multifido. Gli erettori spinali sono un gruppo di muscoli che dal
sacro arrivano alla colonna cervicale: vengono divisi in ileocostale, spinale e lunghissimo. Il multifido
appartiene al gruppo segmentale: perché segmentale? Perché presentano una formazione di fascicoli
ripetitivi che consentono una sorta di stabilizzazione maggiore. Gli studiosi ci dicono che gli erettori spinali
producono la forza essenziale per il sollevamento ma il multifido fornisce la stabilizzazione per il singolo
movimento lombare; entra così in gioco l’importanza del multifido perché le prove attuali ci suggeriscono
che la resistenza
ridotta del multifido può essere un fattore di rischio per le recidive di LBP. Inoltre, le evidenze scientifiche
affermano che i muscoli multifidi non recuperano automaticamente tutta la forza e la resistenza dopo il
primo episodio di LBP, a meno che non interviene il fisioterapista.
Recupero della resistenza muscolare
Come possiamo lavorare su questi muscoli? Con il movimento di estensione, che però mi determina una
grossa compressione a livello dei dischi intervertebrali; quindi, devo recuperare resistenza e correzione del
movimento disfunzionale attraverso gli esercizi di estensione. La posizione più sicura che crea meno
compressioni è quella quadrupedica: sollevare contemporaneamente il braccio e la gamba opposti offre
un’attivazione più efficiente del multifido e degli erettori spinali.
Domanda di uno studente: molti esercizi illustrati vengono svolti nello yoga, quindi serve lo yoga?
Il prof risponde: qui ci sono evidenze scientifiche; nessuno ti dice che l’istruttore che ha ideato lo yoga non
abbia svolto delle ricerche scientifiche, riportando poi questi esercizi. Comunque, se parliamo di patologia,
quest’ultima deve essere trattata dal professionista sanitario; la differenza la fa la valutazione e il
ragionamento clinico.
La progressione dell’esercizio potrebbe essere la sedia romana: questo è un esercizio che impegna
tantissimo la muscolatura estensoria. È utile? Si, ma determina una grossa compressione a livello discale,
quindi è chiaro che quest’esercizio lo riservo in una fase finale agli atleti. Però McGill afferma che questi
esercizi determinano alti livelli di attività degli erettori spinali e dei multifidi dal 40% al 60% della massima
contrazione volontaria. Gli esercizi in quadrupedia saranno sufficienti per la maggior parte dei pazienti per i
quali sarà importante concentrarsi sulla resistenza muscolare.
Quadrato dei lombi
Il quadrato dei lombi è un muscolo importante nella stabilizzazione della colonna vertebrale, durante il
movimento di flessione laterale sul piano frontale e durante l’applicazione di forze di compressione sulla
colonna vertebrale. Infatti, l’attività del quadrato dei lombi è strettamente correlata all’aumento della
necessità di stabilità a causa dei carichi imposti; maggiore è la necessità di stabilità dovuta ai carichi imposti
e maggiore sarà l’attività del quadrato dei lombi. Per attivare il quadrato dei lombi è possibile eseguire
l’esercizio (visto in precedenza) side plank, che mi determina una massima contrazione volontaria del 54%
con bassi carichi compressivi.
Valutazione
La valutazione ci permette di comprendere il ragionamento clinico legato al paziente. Si effettua la
valutazione del movimento attivo finalizzata a ricercare il sintomo e il come si irradia quest’ultimo; quindi,
vado a ricercare il fenomeno di centralizzazione o periferizzazione. Cosa significa? Durante
il movimento attivo vado a cercare la centralizzazione, cioè il dolore si sposta da una zona distale (laterale)
ad una zona più centrale del corpo vicino alla posizione della linea mediana; la periferizzazione è il contrario,
cioè quando si sposta da una zona centrale ad una zona periferica/laterale. Tutto questo perché? Perché la
base dei nostri esercizi sarà la centralizzazione. ES. => Se riesco a trovare un esercizio che mi centralizza il
dolore posso recuperare il paziente da un punto di vista di gestione del dolore. Se il paziente non modifica lo
spostamento del dolore quest’ultimo si trova in uno status quo (dovrei preoccuparmi cit.); se invece non
riesco a trovare la centralizzazione molto probabilmente il paziente avrà difficoltà a recuperare.
Fenomeno di Centralizzazione
Alcuni autori hanno studiato pazienti con LBP cronico all’interno di un intenso programma riabilitativo, e
hanno rilevato che la presenza di centralizzazione durante la valutazione iniziale è stata associata con
maggior riduzione di dolore oltre che percentuali più alte di ritorno a lavoro dopo il completamento del
programma.

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