E' ora di cambiare

E' ora di cambiare

La necessità è data dal bisogno e scegliere di cambiare, in quest’ottica, è conseguenza di un processo di maturazione di bisogni primari. 

Il problema, comunque, sta nel fatto che è proprio pensare di cambiare il deterrente maggiore al cambiamento, perché equivale alla rappresentazione dell’ignoto.

Il messaggio genitoriale di protezione nei confronti di una prospettiva è tanto più forte quanto più la stessa è rischiosa e accattivante nello stesso tempo; e questo è positivo perché ci protegge da potenziali pericoli; ma ci allontana anche da potenziali opportunità.

Di fatto, una volta abbattute tutte le resistenze generate dalla rappresentazione del potenziale “male assoluto” che il cambiamento ci porterà, quest’ultimo diventa addirittura piacevole, tanto da dover manifestare grande riconoscenza alla persona, all’evento o all’occasione che ci ha spinto a provare.

Cambiare è fisiologico

Una volta che il processo si è innescato, diventiamo molto bravi nella ricerca delle opportunità e scaltri nell’adattarci agli eventi; molto più di quanto avremmo mai pensato.

Questo per affermare che siamo molto più a nostro agio con il cambiamento di quanto effettivamente ci riconosciamo come talento.

Cambiare fa parte del nostro modo di vivere, ma contrasta con il contesto sociale al quale siamo abituati: secondo la tradizione, le minacce sono numericamente maggiori delle opportunità, per cui, statisticamente, i pericoli sono maggiori dei potenziali successi.

Tuttavia, anche il cambiamento che conduce ad un insuccesso, totale o parziale, porta con se aspetti positivi, come l’apprendimento, l’adattamento e, più in generale, la consapevolezza di noi stessi, dei nostri limiti e dei nostri pregi.

Cambiare è obbligatorio

A volte capita che il cambiamento sia l’unica opzione percorribile, perché semplicemente gli eventi ci mettono nella condizione di non dover scegliere.

In quel caso mettiamo in campo tutte le nostre capacità per ottenere il meglio, che, sia chiaro, non sempre riusciamo ad ottenere.

L’esperienza di cambiamento, tuttavia, è condizionata dalla spinta derivante dalle condizioni che la generano: più forte è l’impulso, maggiore è l’impatto emotivo; per questo motivo tendiamo a non considerarla una nostra iniziativa e, come tale, spesso non ce ne attribuiamo i meriti anche quando dovremmo.

Cambiare è didattico

Imparare dal cambiamento equivale ad osservare le dinamiche che ne generano i risultati; spesso confondiamo il processo con il prodotto, ovvero giudichiamo la nostra capacità di cambiare in funzione di quello che riusciamo ad ottenere, dimenticando che il risultato stesso è condizionato da un innumerevole quantità di fattori che sfuggono al nostro controllo e che inesorabilmente incidono sull’esito del processo.

Tuttavia saper cambiare è molto importante perché presuppone la capacità di impostare un processo di modificazione di alcuni elementi importanti della nostra professione (e, perché no, della nostra vita) con l’obiettivo dichiarato di cambiarli in meglio.

L’obiettivo si sposta, quindi, in una visione elevata del processo di cambiamento, nella modalità con cui si cambia e non più sul cosa e sul perché.

Cambiare è vincere

In un’accezione puramente competitiva della visione di se stessi, lo sforzo del cambiamento viene spesso enfatizzato e paragonato ad imprese leggendarie pregne di significati e di simboli.

Più onestamente e tranquillamente, cambiare è vincere la propria inerzia a non voler considerare le nuove opportunità come migliori della condizione attuale, è vincere la pigrizia non confondendola con la giusta esigenza di protezione.

Cambiare è affascinante

Personalmente, avendo approfondito l’argomento negli anni, ho trovato accattivante la caratteristica dell’individuo che semplicemente riesce a modificare il proprio approccio alle cose, senza per forza dover ostentare una particolare competenza, ma mostrandosi incline all’apprendimento e alla modellazione del nuovo attraverso il suo punto di vista.

Lo paragono al fascino emanato dal classico cacciatore di tesori (tipo Indiana Jones, per fare un paragone cinematografico), che affronta l’ignoto con un bagaglio di conoscenze di assoluto livello nel quale, tuttavia, lascia spazio per nuove scoperte ed opportunità, che sono, in ultima analisi, il motivo della spinta a scoprire.

Il motore del cambiamento è dato da quello che ci manca, non da quello che abbiamo.

Cambiare è un’abilità

Come per tutte le cose, la capacità di acquisire metodo e sistematicità, tipica dell’essere umano, è applicabile anche al processo di cambiamento.

Strutturare la capacità di cambiare, e di cambiarsi, è di per se un’abilità di altissimo valore, fortemente ricercato nel mercato, proprio per la necessità di sviluppare un sistema stabile e residente di generazione di vantaggio competitivo.

Quest’ultimo è, di fatto, identificato nella capacità di differenziare il prodotto ed il processo rispetto alle capacità omologhe dei competitor; quale approccio è maggiormente adatto a tale concetto se non quello del cambiamento?

Imparare a cambiare

L’università del cambiamento è la vita stessa.

Il copione di vita che costruiamo nella nostra infanzia registra e ci impone di riproporre i comportamenti che ci confortano nei momenti di difficoltà e di complessità emotiva; il copione stesso, con un lavoro lungo e profondo, può essere cambiato attraverso la consapevolezza di se stessi e la responsabilità delle scelte che si fanno.

A livello professionale, il processo è piuttosto simile e, sicuramente, meno impegnativo; è necessaria la disponibilità ad acquisire gli strumenti necessari ad organizzare il processo, a gestirlo, a controllarlo ed a “rendicontarlo” a se stessi.

Personalmente ritengo che imparare a cambiare dovrebbe essere materia di insegnamento nella quale la complessità del processo viene pian piano dominata dal suo interprete.

Una proposta

Un utile esercizio da fare è suddividere il proprio mondo professionale in una serie di categorie che rappresentino ognuna una parte omogenea rispetto alle altre; ad esempio: condizione economiche del rapporto di lavoro, il ruolo ricoperto, il clima aziendale, il rapporto con i colleghi, i riconoscimenti, l’impegno orario, l’impegno psicologico e altre a discrezione dell’autore.

Per ognuna dare un voto, da 1 a 10 o da 1 a 5, sommare i voti ed ottenere la media dividendo per il numero delle categorie individuate.

Misurare prima di cambiare: questo è uno schema molto semplice di come, prima ancora di modificare qualcosa, sia necessario acquisire la consapevolezza del punto di partenza.

A questo punto, sappiamo dove cambiare e perché, pur non avendo ancora realizzato nessuna modifica dello stato delle cose.

Tuttavia, possiamo tranquillamente affermare di aver comunque iniziato il processo di cambiamento, poiché il primo passo di ogni miglioramento è prendere atto che qualcosa non funziona.

Cambiare, a questo punto, non è importante, è l’unica cosa da fare.


Francesco Grassi, Executive Coach su base Analitico Transazionale ed esperto di Change Management, organizza e gestisce percorsi di cambiamento per singoli e gruppi coinvolti nel passaggio a ruoli e competenze di maggiore impegno tecnico e relazionale.

www.consulenzagestionale.it


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