di Ivan Cimmarusti, Nicoletta Cottone e Sara Monaci
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«La criminalità organizzata non opera in uno spazio fisico per riciclare denaro sporco o investire in attività legali. Non c’è una città, una regione o un Paese che da questo punto di vista è più o meno infiltrato di altri. Viceversa, esistono tanti diversi spazi finanziari, in cui le varie consorterie — siano cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra — raggiungono un accordo di spartizione, inquinando il tessuto socio-economico attraverso imprenditori e professionisti compiacenti». Uno scenario reso ancor più allarmante dall’uso della tecnologia, come l’Intelligenza artificiale, di cui anche le cosche si avvalgono. Così il generale Michele Carbone, direttore della Direzione investigativa antimafia, in un colloquio video con il Sole 24 Ore, che sarà trasmesso questa mattina sul sito web del nostro giornale.
Forte della sua esperienza investigativa in ambito finanziario, Carbone ha delineato le strategie di aggressione economica attuata dalla criminalità organizzata, partendo da una metamorfosi iniziata «dagli anni ’80, che ha portato all’evoluzione del mafioso in imprenditore. Man mano che aumentavano i traffici illeciti aumentava la liquidità e la necessità di riciclarla».
Oggi gli schemi del crimine finanziario si sono affinati, hanno fatto un salto di qualità. «Ci si avvale di professionisti esperti in ambito fiscale-giuridico», ma sempre più spesso le consorterie decidono di investire su propri affiliati, facendoli studiare nelle università e nei master di amministrazione finanziaria all’estero. «Non c’è indagine in materia di crimine organizzato dove non si scopra il professionista complice che ha svolto certificazioni o asseverazioni illecite».
In questo senso torna il concetto della dematerializzazione dello spazio di operatività dei clan: le aree più produttive sono quelle più appetibili. «Lo ha confermato un’indagine svolta a Roma: ‘ndrangheta e camorra investivano insieme nella Capitale avvalendosi della criminalità locale e sfruttando l’imprenditoria capitolina» in un giro di fatture false stimato in mezzo miliardo di euro. «A Roma avevano creato una centrale di riciclaggio. Si tratta di un modello evoluto basato sull’accordo tra organizzazione che, però, non riguarda solo la Capitale».
Nel resto dell’Italia e di altri Paesi europei attraverso iniezioni infinite di denaro sporco la mafia è riuscita a «sedere in rinomati salotti finanziari e di mercato». «Nei porti di Rotterdam, Anversa, Amburgo e ora sempre più in Norvegia, si importano tonnellate di cocaina. Questo non significa che quei Paesi sono utilizzati per il transito, vuol dire che lì c’è una rete logistica e di infiltrazione nelle imprese, per esempio quelle che gestiscono il sistema dei container. Vuol dire che la mafia è nel loro territorio e controlla una fetta di mercato». Si consideri che, secondo l’Europol l’80% delle mafie attive in Europa fa ricorso al mondo dell’impresa. Le risultanze investigative restituiscono il ruolo di «persone fisiche e giuridiche» collegate a cosche italiane «che riciclano nel resto dell’Europa e non solo». Il problema dell’estero, però, «non è tanto una scarsa sensibilità verso il fenomeno mafioso, quanto piuttosto una scarsa esperienza. Sono decenni che in Italia affrontiamo il tema mafia. Gli altri Paesi, anche europei, ora hanno capito che questo non è solo un problema italiano».
Le attività di cooperazione internazionale, ha spiegato Carbone, hanno permesso all’Argentina di fare un passo in avanti, tanto che nei giorni scorsi ha avviato un dibattito sull’equivalente del nostro 416bis (associazione per delinquere di stampo mafioso) ed hanno costituito il Dipartimento investigativo antimafia, seguendo l’esperienza della nostra Dia.
Il fronte italiano resta comunque bollente. In particolare, le grandi opere, come gli appalti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, delle Olimpiadi e Paralimpiadi Milano-Cortina 2026, ma anche del Giubileo 2025. Sui giochi olimpici Carbone ha detto che è stata costituita una rete preventiva di controlli. «Alla Dia è richiesto di coordinare la sorveglianza degli insediamenti e delle infrastrutture prioritari, attraverso una cooperazione con la Struttura di prevenzione antimafia diretta dal prefetto Paolo Canaparo». La Dia svolgerà sia un controllo preventivo su tutte quelle imprese che vorranno iscriversi all’Anagrafe degli esecutori, sia uno successivo direttamente sui cantieri.
In questo senso, spiega Carbone, la Dia può usufruire di uno «strumento messo a punto con l’Unità di informazione finanziaria (Uif, ndr) della Banca d’Italia e voluto e sollecitato dal ministero dell’Interno, per quanto riguarda alcuni indicatori di bilancio che, analizzati nell’insieme, consentono di individuare quelle imprese che presentano un elevato fattore di rischio in termini di infiltrazione criminale».
Uno strumento «particolarmente utile» continua, «in termini di priorità con riferimento agli accessi ispettivi» che di qui ai prossimi mesi saranno svolti sulle opere per le Olimpiadi e Paralimpiadi invernali.
Ivan Cimmarusti
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